di Alessandro Raveggi
Betta per fortuna non la scovava, non doveva salvarla. I bambini erano troppi e incoerenti, non poteva salvarli. Scontrosi come atomi bombardati da quella pletora di stanze piegate, e il mondo attorno che s’incaparbiva, chiudeva il conto con una linea netta e desolata in fondo al dare e avere. Betta avrebbe potuto sottrarsi da sola alle macerie, almeno per stavolta, con l’aiuto delle sue braccine violacee. Sarebbe stato un segno di maturità. Avrebbe sporto il capetto da tartarughina troncando un coccio più friabile, stirato il muso in una ruga, scostatasi di dosso una doccia di calcinacci. Solo dopo aver fatto scorrere fuori dal cumulo le sue poppe asciutte, avrebbe steso l’obiettività della sue gambe mozze. In aria, in un luogo neutro, simile a quello dell’edificio, ma senza strozzatura e gravità.














