Roma – Giovedì 5 novembre 2009
alle ore 19.30
il Centro Culturale
LA CAMERA VERDE
via Giovanni Miani 20, 20/a, 20/b
00154 Roma
presenta
FUGA TRIPLA di Giuliano Mesa
Collana Locandine d’artista
Roma – Giovedì 5 novembre 2009
alle ore 19.30
il Centro Culturale
LA CAMERA VERDE
via Giovanni Miani 20, 20/a, 20/b
00154 Roma
presenta
FUGA TRIPLA di Giuliano Mesa
Collana Locandine d’artista
Milano films 1896-2009. La città raccontata dal cinema, Fratelli Frilli Editori
[Marco Palazzini e Mauro Raimondi hanno scritto un libro davvero particolare. Un libro sull’immagine di Milano nel cinema, dal 1896 fino ai giorni nostri.
Un ricchissimo album cinematografico composto da quasi cinquecento film di registi più o meno famosi a cui gli autori affiancano i moltissimi registi di quei “corti”, documentari e produzioni alternative che rivestono un ruolo fondamentale per spiegare l’attuale città.
Allego qui di seguito l’introduzione dei due autori e, subito dopo, la prefazione al volume di Tonino Curagi e Anna Gorio. G.B.]
Introduzione di Marco Palazzini e Mauro Raimondi
Disegnare una mappa di Milano attraverso i molti film che l’hanno portata sullo schermo: questo, era il punto di partenza. Senza rincorrere, ovviamente, l’inutile totalità delle varie location, ma per offrire uno spazio cittadino alla memoria di ognuno: un regalo, insomma, a tutti quelli che in questa Milano hanno vissuto e vivono.
di Jan Reister
Articolo amarcord d’occasione dato che Nazione Indiana ha compiuto sei anni e mezzo: qui ho parlato dellla prima fase del progetto, dal 2003 al 2005, ora proseguo nel bilancio dell’esperienza dei due anni successivi sotto il profilo tecnico/editoriale: la rinascita, l’uso più consapevole della rete ed un fatto di polizia.
Una ferita nella terra ecco il mio quartiere
di
Alessio Arena
Da sopra al ponte la Sanità è come una grande gabbia, nel petto squarciato della città un cuore che ha subito infiniti trapianti e adesso si sbatte solo lui, come un’ anguilla il giorno di Natale. Attraverso le grate del ponte, come al di là di un filo spinato che separa i prigionieri dai sicari, ci vedi la capa a cucuzziello della chiesa di San Vincenzo, prigioniera pure lei, che da poco le hanno fatto una lavata di faccia ma mica si vede da qua sopra, no, da sopra al ponte il quartiere lo vedi come un buco enorme, una ferita nella terra con punti di sutura segnati qua e là dalle antenne paraboliche, dalle scale che salgono e scendono, dai balconi balconcini loggette terrazzi ripostigli e vinelle che si buttano una addosso a un’ altra. A un ragazzino della Sanità il prete direbbe che il guaio lo fecero i francesi, Murat che fece costruire quel ponte perché il re arrivasse alla sua reggia senza farsi tutta quella strada, la scalata dello Scudillo, in mezzo a tutta quella gente.
di Marco Rovelli
Sei anni fa finii per un caso, insieme ad altre due persone, nella casa sui Navigli di Alda Merini. Entrammo che lei stava guardando il quiz di Amadeus, come una persona “normale”, su una piccola poltrona nella sua sala congestionata di cose, quadri sculture mobilia varia et coetera. Un ambiente assai più congestionato di un magazzino. “Si sieda” mi disse, e io rimasi disorientato, chiedendomi Dove? – finché trovai uno sgabello infilato sotto un tavolo, e facendomi largo tra la “roba” lo estrassi e ne feci uso. Alda parlava dei suoi vecchi amori, e delle carnalità rimpiante. Poi mi offrì da fumare, io al tempo avevo smesso e dissi “Non fumo, grazie… però ho altri vizi”. Lei mi guardò e disse “Bravo, fa bene: beva, beva, beva”. E allora, Alda, un brindisi a te.
Si pubblica una scelta di poesie da: Enrico De Lea, Ruderi del Tauro, L’arcolaio, 2009.
di Antonio Sparzani
Ho parlato giovedì scorso al Festival della Scienza di Genova, insieme al mio amico Gaspare, di questo tema. Abbiamo combinato una specie di dialogo tra noi. Nel pubblico c’era una folta rappresentanza di studenti liceali, di una scuola di Imperia, giovani con gli occhioni spalancati, pronti a trangugiare qualsiasi cosa venisse loro propinata da quei due prof cravattati, seduti dietro una cattedra della prestigiosa sala del minor consiglio del palazzo ducale. Non mi sono bene informato su cosa fosse esattamente quella sala, che ruolo ricoprisse ai tempi della gloriosa repubblica marinara, e cosa fosse questo “minor consiglio”, però è bella assai.
di Massimo Rizzante
Vorrei sapere chi è stato a un certo punto della Storia, sul finire del XX secolo, a decretare che “Happy days”, la serie televisiva americana degli anni Settanta, ci abbia formato nella nostra adolescenza più della lettura, a volte faticosa, a volte verticale, dei romanzi di Dostoevskij, o a stabilire che una ballad dei Pink Floyd, grazie alla quale i nostri desideri immaturi si accendevano per qualche minuto come falò benigni in mezzo alle sparatorie del Belpaese della Politica, abbia avuto allora lo stesso peso della nostra lettura di una tragedia di Shakespeare…
Fra il 16 e il 22 ottobre scorsi, il corpo di Stefano Cucchi scompare. La sua identità è sempre intatta — 31 anni, arrestato la notte del 15 ottobre per possesso di stupefacenti — ma la vista del suo corpo è negata alla famiglia e a chiunque altro. Il padre, la madre e la sorella lo vedono per l’ultima volta in Tribunale, il 16 ottobre, alle nove di mattina. Notano già le ecchimosi sul volto. Di lì in poi, scompare. Il 22 ottobre viene recapitata ai parenti la notizia da parte dell’ospedale Regina Coeli: Stefano Cucchi è morto.
Lui diceva di essere “caduto dalle scale”. La procura di Roma indaga per omicidio preterintenzionale da parte di chi l’ha avuto in custodia e, verosimilmente, l’ha ammazzato di botte.
Le foto — e ha ragione Adriano Sofri quando dice che nessuno può permettersi di parlare di Cucchi senza averle viste — sono qui. E sono agghiaccianti.
Quanto alla verità sull’accaduto, non resta che attendere l’esito delle indagini. Ma sull’implausibilità di tesi insabbiatrici, basta già leggere questo articolo.
Tutto getta una luce orribile sulla presunta sicurezza in cui siamo avvolti, sul presunto grado di garanzia di una fetta delle forze dell’ordine, sulla cultura che ha informato tale fetta — e vi invito a leggere il bel pezzo di Marco Mancassola al riguardo.
Ma c’è dell’altro.
di Piero Sorrentino

Può darsi che le foto di Stefano Cucchi da morto servano a dare a quel giovane la giustizia che non ha avuto da vivo. Quegli scatti atroci che annodano le viscere in un pugno stretto sotto la pelle dello stomaco hanno fatto il giro della Rete, dei quotidiani e delle televisioni. Come per l’omicidio di Neda, la giovane iraniana uccisa nel corso di una manifestazione contro il regime, quelle immagini hanno smosso sentimenti e coscienze, facendo alzare alte le grida di chi non riesce a guardarle senza un moto di pietà, o un sussulto di umanità, di dolore, un brivido di fronte a quelle ossa rotte, quella carne tumefatta.
Ma quelle foto (la loro diffusione pubblica) sono un errore, oltre che un orrore. E non è tanto il contenuto delle immagini a caricare di pericolo la pubblicazione di quegli scatti. Non siamo solamente al cospetto di una fotografia terribile che fa deviare gli occhi dallo schermo, o fa coprire gli occhi dei nostri figli qualora si trovassero a transitare nei dintorni mentre le stiamo guardando. Siamo in presenza di una modalità comunicativa che fa del “vedere tutto” un pericoloso precedente.

di Mauro Baldrati
Per parlare dell’ultimo libro di Alan D. Altieri, Hellgate (Tea, 2009), bisogna fare una riflessione sulla violenza e la sua rappresentazione. La violenza è ormai parte del nostro quotidiano, esce con enfasi e autocompiacimento dai telegiornali, che sono zeppi di cronaca nera che viaggia sui particolari macabri, sulla violenza verbale degli aggettivi (massacro, strage, sgozzato, ecc), e si basa su un presunto voyeurismo dark del pubblico al quale fornisce nutrimento. La violenza rappresentata dalla televisione, e con altri stili dai giornali, è brutta, volgare, perché deriva dal tentativo di spettacolarizzare il dolore che sta dietro gli atti criminali, spesso causati da un livello intollerabile di aggressività. Cerca di spettacolarizzarlo attraverso la sua riproduzione, la moltiplicazione, restando così dentro la violenza, senza neutralizzarla né superarla.
[ Balthus – pseudonimo di Balthasar Kłossowski de Rola, 1908 – 2001 ]
di Paolo Rou
Non c’era da aver paura, hai visto, Riccardo? Mamma Adele è gentile, ci ha fatto entrare anche se pareva sorpresa. Le imposte erano oscurate, certo per via del sole, te l’ho spiegato che rovina i mobili. Mamma Adele ha molta cura della casa.
Abbiamo sentito spegnersi la radio, entrando, quella radiolina in cui Mikula si perde, ci sta attaccata su e ci si dondola. Sono i momenti in cui è più calma. Hai cominciato a tremare, perché il silenzio della casa significava che Mikula sarebbe venuta, o che era acquattata dietro qualche credenza a osservarci. “Non ti preoccupare, Riccardo” ti ho tranquillizzato, “Ora chiamiamo Mikula e vedrai che non ti fa niente”. Ci avevo messo tanto a convincerti, non si poteva rovinare tutto.
di Giacomo Sartori

Poi i nostri incontri hanno cominciato a rarefarsi. Io lavoravo all’estero, e lui frequentava persone che manco conoscevo: molti dei suoi nuovi amici erano bevitori professionisti come lui. Remava di lena verso il traguardo delle trecentoundicimila lattine di birra e delle centoquarantasettemila e cinquecento sigarette. Lo cercavo, ma lui rinviava, si presentava agli appuntamenti in compagnia di altri tizi, mi tirava dei bidoni. Qualche volta mi chiedeva dei soldi, e poi si dimenticava di restituirmeli. Non ero più in una posizione privilegiata, mi accorgevo. Ma non demordevo. Spesso tornavo nella nostra città solo per vedere lui, e aspettavo invano. Avevo fatto migliaia di chilometri per niente. Più spesso mi dedicava i dieci minuti prima che partissi, nel suo stile più economico, più sbrigativo. Dieci minuti molto intensi, quel tanto da tenermi al guinzaglio, da avere l’impressione di essere lui a gestire la cosa.
di Franco Buffoni
Mentre in Italia un Parlamento di nominati boccia la proposta di legge presentata da Paola Concia, divenendo così oggettivamente complice di chi istiga odio e violenza nei confronti degli omosessuali (violenza fisica e violenza morale sono strettamente connesse: non si può pensare di condannare l’una e giustificare allo stesso tempo l’altra), negli Stati Uniti in data odierna Barack Obama ha firmato una legge specifica contro le violenze nei confronti dei gay.
Il testo prende il nome da Matthew Shepard, studente di college torturato e ucciso da due bulli nel 1998, e da James Byrd, un uomo di colore che nello stesso anno fu legato a un’auto e trascinato per diversi chilometri a Jasper, in Texas.
Con la nuova legge le violenze contro i gay vengono accomunate a quelle scatenate da motivi razziali, religiosi e etnici. Ogni anno sono oltre mille negli Stati Uniti i crimini commessi sulla base della discriminazione sessuale.
La firma di Obama conclude una lunga battaglia da parte delle associazioni per i diritti dei gay, da ultima la Human Right Campaign, l’organizzazione davanti alla quale il presidente ha parlato poche settimane fa.
di Marco Belpoliti
Piffete e puffete e “tu ne giungi felicemente a Breanza”. Sul treno, “ferrocarril” delle Ferrovie Nord, ci s’imbarca a Piazzale Cadorna, in Milano, direzione Asso, fermata Erba. Qui si scende per risalire su un autobus – allora non c’era – destinazione Longone al Segrino. Pochi minuti ancora, e si sbarca davanti alla più famosa casa della letteratura italiana del Novecento: Villa Gadda. Un casone squadrato, appoggiato appena alla collina, con archi sul davanti, due grandi e due piccoli. Niente di particolare, anzi piuttosto ordinario, molto meno elegante dei villini, ville rustiche, chalets svizzeri e delle residenze liberty che nel medesimo periodo avevano invaso la zona, in cui veniva su la Villa in Brianza edificata da Francesco Gadda, con l’intento esplicito che i ragazzi “crescessero sani, vigorosi, allegri, sotto il portico; le logge fatte per aerare la casa, la terrazza per il fresco di sera, dopo il lavoro”.
Il Centro Culturale LA CAMERA VERDE
presenta
JEU D’ŒUF: Pour violer les solutions régulières il faudrait bien naître
a cura di
Giovanni Andrea Semerano
Sabato 31 ottobre 2009 – Roma
dalle ore 18.00 alle ore 21.00
nell’ambito del decennale del Centro Culturale La Camera Verde
vengono presentate le prime cento Locandine d’Artista
Gli artisti:

Barbie Amanda Lepore (la muse transexuelle de David Lachapelle)
“La transavanguardia ha risposto in termini contestuali alla catastrofe generalizzata della storia e della cultura, aprendosi verso una posizione di superamento del puro materialismo di tecniche e nuovi materiali e approdando al recupero dell’inattualità della pittura, intesa come capacità di restituire al processo creativo il carattere di un intenso erotismo, lo spessore di un’immagine che non si priva del piacere della rappresentazione e della narrazione” (Achille Bonito Oliva, Artisti italiani contemporanei, Electa, Milano 1983).
di Giacomo Sartori
Il mio migliore amico nel corso della sua esistenza ha fumato trecentoundicimila sigarette e s’è bevuto centoquarantasettemila e cinquecento lattine di birra. Naturalmente non ha bevuto solo birra in lattine, perché s’è scolato anche un’infinità di birre in bottiglia, e soprattutto alla spina, e poi vino bianco e rosso, whisky, grappa, bourbon, slivowitza, vodka, sakè, martini, vermut, e vari altri alcolici puri o mescolati tra loro. Ma tradotti in lattine di birra il totale fa pur sempre centoquarantasettemila e cinquecento: i miei calcoli sono piuttosto precisi. Un po’ meno di cinquemila ettolitri di birra, pari a duecentocinquanta ettolitri di alcol puro.
Il mio migliore amico era fin dall’inizio quello molto brillante, io quello un po’ tarato. Capiva in qualche giorno le cose che io ci mettevo dei mesi, se non addirittura – potrei fare degli esempi precisi – degli anni.