
di Marco Rovelli
Le vedo piangere, le madri. Mi stanno ad un passo, davanti agli occhi. Così vicine che potrei asciugargli le lacrime. Ma non lo faccio. Una madre che piange è sacra. Nel senso che è separata, intoccabile, inavvicinabile. Quando hai davanti una madre che piange l’irredimibile assenza del figlio, è come smisurata. Non sai neppure come potresti abbracciarla. Ti pare di avere davanti il dolore infinito, infinito e informe, e nessun abbraccio potrebbe contenerlo. Stai a distanza, allora. Qualsiasi contatto sarebbe fonte di dolore ulteriore. Potresti sfregare quell’infinita ferita. Chi sei tu, per provarci.
Prendi invece una madre in televisione. Contenuta la mattina tra una canzonetta e un gioco a premi. Resa oggetto di una morbosità che ne fa oggetto di estrazione di dolore per convertirlo in ascolto, in dati di audience. Per convertirlo dunque in pubblicità, in merce.





