Spazio per segnalazioni, servitevi da soli.
Il contemporaneo Ottocento

di Antonio Scurati
L’Italia è un Paese culturalmente arretrato. Qualsiasi valutazione su Guerra e pace, la fiction che prometteva di riportare la grande letteratura in prima serata su Rai Uno, deve partire da questa constatazione.
Nessun giudizio di valore ne può prescindere: si tratta del prodotto culturale di punta di un Paese culturalmente arretrato. L’assunto di partenza, per quanto spiacevole, è purtroppo incontestabile. Tutti i dati statistici e i parametri sociologici lo confermano.
Cubicoli
di Alessandra Lisini
Le ultime cose che restano in uno spazio prima che si svuoti sono le più difficili da spostare. Perciò nelle case si ritrova sempre qualcosa di chi ci abitava prima, e anche per questo prima di rimuovere l’ultimo pezzo, negli ultimi momenti di un trasloco, ci si guarda bene attorno sperando di vedere l’ulteriore ultima cosa, prestando attenzione che in quel penultimo spostamento l’aria della stanza non ci piombi addosso con le sue poche atmosfere.
Una ricerca di assoluto
di Antonio Sparzani
«Non chieder più nulla,
sappi goder del tuo stesso dolore,
non adattarti per fuggir la morte;
anzi da te la vita nel deserto
fatti – che sia per gli altri nuova vita;
non disperare, ma rinuncia ai vani
aspetti della vita, e nel deserto
sarai tranquillo: dalla tua rinuncia
rifulgerà il tuo atto vittorioso,
APГIA sarà il tuo porto ΔI’ENEPГEIAΣ» ([1], pp. 92-93)
Un’opera sconvolgente apre e illumina il Novecento italiano, La persuasione e la rettorica di Carlo Michelstaedter, nato a Gorizia nel 1887, suddito di sua Maestà Apostolica Francesco Giuseppe I d’Absburgo, re e imperatore – cantato come buono dai suoi molti popoli.
Una madre che piange, o il suo Spettacolo

di Marco Rovelli
Le vedo piangere, le madri. Mi stanno ad un passo, davanti agli occhi. Così vicine che potrei asciugargli le lacrime. Ma non lo faccio. Una madre che piange è sacra. Nel senso che è separata, intoccabile, inavvicinabile. Quando hai davanti una madre che piange l’irredimibile assenza del figlio, è come smisurata. Non sai neppure come potresti abbracciarla. Ti pare di avere davanti il dolore infinito, infinito e informe, e nessun abbraccio potrebbe contenerlo. Stai a distanza, allora. Qualsiasi contatto sarebbe fonte di dolore ulteriore. Potresti sfregare quell’infinita ferita. Chi sei tu, per provarci.
Prendi invece una madre in televisione. Contenuta la mattina tra una canzonetta e un gioco a premi. Resa oggetto di una morbosità che ne fa oggetto di estrazione di dolore per convertirlo in ascolto, in dati di audience. Per convertirlo dunque in pubblicità, in merce.
Prima che la storia finisca
di Alessandra Galetta
Uno
Si chiamava Akan Kappa e poteva dirsi fortunato.
Aveva superato l’attraversamento del deserto in camion, le onde del Mediterraneo su una tinozza che imbarcava acqua, le camionette della polizia sulla costa, ed era giunto a Roma in un giorno di sole e dopo due ore era già in una fabbrica a scaricare pacchi di abiti usati. E la notte disteso su un materasso con cinque euro in tasca e la pancia che se la sfioravi con un ago scoppiava come uno di quei palloni appesi al filo.
In due mesi aveva messo da parte cinquanta euro: venti li teneva nel portafoglio e trenta li conservava suo cognato in un luogo sicuro, per spedirli a casa. Non poteva proprio lamentarsi.
Ma la mattina del ventitre dicembre precipitò tutto: suo cognato fu investito da un pirata della strada.
Camminavano l’uno a fianco all’altro, chiacchierando del Nigeriano, del lavoro e di Roma, e l’auto comparve all’improvviso, sbandando da una curva, veloce come una pallottola.
Lui, Akan, schizzò in avanti qualche istante prima, suo cognato, Mabili, rimase immobile a fissare con gli occhi dilatati il mostro di metallo che si avvicinava.
Salta! Gli gridò, ma ormai il suo tempo era concluso.
Per una critica futura n° 4
È on line sul sito di Biagio Cepollaro
il numero 4
di Per una critica futura a cura di Andrea Inglese
Indice + Editoriale:
Andrea Inglese, Editoriale
Giuliano Mesa, Biografie perdute (2° parte)
Stelvio Di Spigno, La credibilità del contrabbando: poeti contemporanei e lo «spirito del tempo»
Biagio Cepollaro, Intervista di Sergio La Chiusa su Poesia Integrata. Le parole che trasformano
Fabio Moliterni, «Il vero che è passato.» Poesia e tempo in Franco Fortini
Erminia Passannanti, Teorizzazione della contraddizione nella poesia di Franco Fortini
Dialogo a più voci
(Interventi di Luigi Severi e Giampiero Marano)
Incipit per una commedia
A un terzo del mio secolo di vita, tra gli sterpi correndo in infinito cerchio con strani animali ansiosi d’asciugarsi dopo l’ultimo lachrymoso diluvio, sempre incalzato dallo spettro di quel Poeta dal buffo copricapo rosso il quale io in corsa rattamente volgendomi a guardare vedevo a sua volta avere alle spalle tutta una folla di personæ nonché archetipi antropomorfi e zoomorfi e teratomorfi quali già sguinzagliò sir Peter cineasta enciclopedico sull’isola di Prospero chi brandendo un sestante chi una lira chi una sciabola chi un libro aperto, io, in affannata corsa verso non sapevo piú che zenith e partito da non sapevo piú che nadir o viceversa, affatto lasso, mezzo infangato da un paio di cadute da far ridere les hommes d’équipage, maglietta lacerata dagli spini e sbrendolata come la veste di madonna Philosophia, io, Poliphilo/Pollicino/Palasciano, mi ritrovavo in quella che per metafora obbligata chiameremo una selva oscura, o bosco iniziatico dal quale l’adolescente di turno non è piú uscito senza però per questo ricevere in dono fatato l’aeromobilità di Peter Pan; e in questa selva che è piú un ipnolabirinto o, spostando l’interesse dalla sua oniricità alla sua multidimensionalità, iperlabirinto, non solo la diritta via mi si era smarrita ma, poiché nell’ultimo terzo di millennio cadde dal trono anche la Geometria euclidea, ora, se pure avessi ritrovato quella via, per diritta che vi sarebbe parsa, avrebbe intersecato diosà quante vie ad essa parallele e potuto perfino guidarmi, con crudele inganno, io distratto da bachi e da conigli, a precipitare nelle fauci titaniche di un buco nero, intorno al cui orlo, come stelle sul mare palpitanti, i Quanti ognora saltellano, irridendo il decrepito Apollo storte frecce, nella teoria o danza del Caos che tutto move.
Esordienti over 65
La casa editrice Transeuropa ha indetto la prima edizione del concorso letterario nazionale “Progetto Over 65”. Obiettivo è la realizzazione della prima antologia di scrittori esordienti con un’età superiore ai 65 anni.
L’Italia, secondo un indagine Istat del 2006, si conferma il paese degli anziani. La fascia di popolazione oltre i 65 anni rappresenta il 19,7% della popolazione italiana, ovvero un residente su cinque. Questo processo incide anche sul rapporto tra popolazione attiva e non attiva (indice di dipendenza strutturale), che è passato dal 46% del 1990 al 51,1% del 2006.
Le telecamere seguono il denaro

intervista a Gary Shteyngart su “Absurdistan” di Alessandro Beretta
Un romanzo rocambolesco e satirico, dal ritmo serrato, ma che ti costringe a pensare sul contemporaneo: è così che “Absurdistan” (Guanda) di Gary Shteyngart fa correre il lettore. La storia narra le vicende di Misha Vainberg, enorme ebreo – «in sovrappeso imbarazzante» – figlio del 1238° uomo più ricco di Russia, improvvisamente rimasto senza visto nella regione dell’Absurdistan. Un paese immaginario ai confini – molto sottili – della nostra realtà: un paese povero, invaso da multinazionali in caccia di petrolio come la Halliburton – protagonista anche in Iraq – e diviso tra due etnie, gli Svanï e i Sevo, pronte a scannarsi per un’antica querelle teologica riguardo all’inclinazione del poggiapiedi del crocefisso di Cristo. Questa premessa spero serva da orientamento a quanto segue, ovvero un’intervista a Gary Shteyngart, 35enne ebreo russo, newyorkese d’adozione, realizzata per il Corriere della Sera-Milano e apparsa Domenica 14 Ottobre, per motivi redazionali, in una versione molto breve. Shteyngart è stato generoso di risposte, e quello che segue, avendo realizzato l’intervista per mail, è il suo «writer’s cut».
L’emozione della politica
di Franz Krauspenhaar
Giorgio Almirante
Via della Scrofa, 43
Roma
Caro onorevole, sono passati quasi vent’anni da quando lei si dimise dal Tutto. Era estate, me lo ricordo. Un brutto agire, ricordare la morte al morto. Non c’è nulla da ricordare, per lei, onorevole, lo so. Ma io le devo scrivere questa lettera, è un obbligo che mi sono dato, dopo un ventennio di silenzio nelle parole e nei pensieri. Ne è passata di acqua sotto i ponti della politica, in questo paese; prima tumultuosa, poi sempre più sudicia e lenta. Molte cose non sono più le stesse. E allora, non essendoci comunque niente da festeggiare, si può, quasi a cuor leggero, commemorare. Un mondo che non c’è più. Figure sparite nel buio di quello che tanti chiamano nulla.
Occorre davvero temere il Grande Fratello?
Il Grande Fratello non è quel che era solito essere. Lo stato totalitario che George Orwell descrisse nella sua opera più famosa si basa sullo scenario degli anni Quaranta. La società dell’informazione attuale non somiglia per niente al mondo di Orwell, e l’osservazione e l’intimidazione di una popolazione oggi differiscono di gran lunga dall’esperienza di Winston Smith.
Warburghiana
Prima un libro, poi mostre, poi concerti sinottici, ora anche desktop!
Il nuovo sito della Warburghiana è molto più di un sito informativo sulle attività del gruppo, è un laboratorio, un format, una forma e un’opera in atto.
Dal 30 ottobre torna on-line rinnovato.
Visioni, performance, video, brevissime conferenze, oggetti sonori, testi che si susseguono con intensità e precisione.
Promuoviamo un’arte dell’attenzione e della visione penetrante, mettendo sul tavolo materiali e idee.
Non solo e non tanto un modo di esporre quanto un modo di pensare l’arte e di esporla-proporla, il modo del tenere insieme e sotto mano le cose e i materiali e di porgerli agli altri perché ne facciano (buon) uso.
interventi
Aurelio Andrighetto, Joseph Rykwert, Marco Belpoliti, Stefano Boeri, Jimmie Durham, Stefano Brizzi, Giulio Calegari, Gianluca Codeghini, Andrea Inglese, Andrea Panattoni, Paolo Rosa, Alessandra Spranzi, Dario Bellini, Elio Grazioli
Texas chainsaw massacre
di Marco Simonelli
Il piccolo aveva dei problemi:
si dice che fu colpa della pelle
oppure di sostanze
assunte durante l’adolescenza.
Uccidendo la sua prima formica
mentre giocava all’ombra
dietro la casa, sotto la cisterna,
si sentiva onnipotente padrone:
emulava la figura paterna.
Cos’è Roma
di Christian Raimo
Dieci anni fa stavo cercando di farmi nuovi amici. Frequentavo chiunque mi stesse vagamente simpatico a pelle. Naufragavo a giocare a freccette alle tre di notte con borghesotti arricchiti dei Parioli che mi portavano poi a fare il puttan tour e mi lasciavano dormire in macchina, facevo illimitate conversazioni etiliche sulle tendenze della poesia contemporanea con fuorisede dandy, mi ritrovavo con Maurizio (che disegnava fumetti porno, insegnava basket ai ragazzini delle medie e si era inventato una rivista intitolata in omaggio a Gabriel Pontello “Ifix tchen tchen” in cui dava in allegato disegni di bambini dell’asilo che si faceva regalare dalle maestre), io e lui spersi tra le poltroncine sdrucite, a vedere in un cine d’essai Amore Tossico di Claudio Caligari, e uscendo dalla saletta imboscata e ovviamente umidissima lui commentava: “Non te rendi contro il vuoto che c’era. Ora a Roma ci sono addirittura i PIT per strada, i punti di informazione turistica! Quando siamo cresciuti c’era un vuoto che uno non riesce a immaginarsi”.
Genova non è finita 2

di Blicero
Sapevo che ottobre non sarebbe stato un mese entusiasmante per seguire i processi genovesi, ma saperlo non aiuta a reprimere le emozioni che ascoltare ogni martedì e ogni venerdì i pubblici ministeri Anna Canepa e Andrea Canciani mi provoca. Il mese di ottobre è stato il mese che i pm si sono presi per rileggere i fatti di Genova a modo loro, per riuscire a presentare al mondo la loro versione della storia, la loro versione della verità, dei torti e delle ragioni. Non c’è bisogno di dire che non è la stessa che ho vissuto io. O voi.
Vecchia grafica per Nazione Indiana
Settimana scorsa ho rinnovato la grafica di questo sito. Oggi ripristino l’aspetto precedente di Nazione Indiana. Cosa è successo?
La nuova grafica è stata accolta abbastanza bene dai lettori, ma tra i membri di Nazione Indiana ha causato forte disagio, a causa della resa dei pezzi con la nuova impaginazione. Visto che alla fine siamo i primi utilizzatori di questo sito, abbiamo deciso di ripristinare la precedente impaginazione, che è visibile adesso. Poco male: è stato interessante mettere in produzione Sandbox, che è in uso anche in questa versione, ringrazio cosi&come ed Edo Grandinetti per le proposte di disegno della testata inviate (1, 2), Bombasicilia e tutti i lettori per le segnalazioni, le critiche e i suggerimenti.
Da: Madrid (1987)
di Cristina Annino
La casa addosso
Ci sono volgarità anche qui da pagare. Non si può
mica aspettare ore, papavero, che un evento
ci tocchi il cervello, la sua coscienza, i nervi
ottici e il resto. Bisogna capire
svelto come una bomba senza consigli, e scendere
dal tetto. Anni luce essere felici, quasi fosse
una cosa pratica, e noi utili al mondo. Per bene.
I pionieri del Far East
di Andrea Bajani
La prima volta che sono atterrato in Romania è stato un anno fa, aeroporto Otopeni di Bucarest, all’una e mezza del pomeriggio. Sono partito da Torino una mattina all’alba, senza sapere che cosa avrei trovato, con troppi pochi preparativi per avere delle aspettative da collaudare e troppi pochi pensieri pregressi per avere delle domande alle quali cercare risposta dall’altra parte dell’Europa. Sono partito con l’unica sensazione che quello che stavo facendo mi riguardava nel profondo. Quando sono salito sull’aereo avevo in tasca un paio di indirizzi, un numero di telefono romeno e sei o sette nominativi di aziende italiane da cercare e a cui chiedere udienza.
La solitudine del recensore
di Sergio Pasquandrea
Ogni due mesi trovo nella casella postale un pacchetto, la classica busta gialla imbottita di cellophane. È pieno di cd, in genere almeno una dozzina, a volte anche più: la rivista per cui scrivo me li manda, perché io li recensisca.
A casa apro il pacco, do un rapido sguardo ai cd, poi sbrigo subito il lavoro più noioso (“quello che non vuoi fare, fallo subito”, diceva mia nonna): apro un file word e trascrivo tutti i dati di tutti i dischi, autore, formazione completa, etichetta, numero di catalogo, distribuzione, lista dei brani.
Poi li metto nel lettore, uno per volta, inserisco la funzione “random” e saltabecco da una traccia e l’altra. È quello che si chiama un “blindfold test”, una specie di moscacieca: serve per farmi una prima idea, del tutto epidermica, di ciò che il disco contiene. Butto giù qualche appunto in cui segno ciò che la musica mi suggerisce: idee, immagini, aggettivi, domande, dubbi, qualunque cosa, rigorosamente alla rinfusa. Poi inizio ad ascoltarli con la massima attenzione, uno per uno, dall’inizio alla fine, anche più volte se serve; se non conosco i musicisti, mi documento; e alla fine scrivo la recensione.
Detta così, sembra semplice: ma non lo è affatto.
Innanzi tutto, sono convinto che un esercizio indispensabile, per chi scrive, sia mimetizzarsi nei panni di chi legge. Quindi mi capita spesso di chiedermi: ma perché uno legge una recensione? che cosa cerca? ad esempio, io: perché le leggevo, quando ancora non le scrivevo?



