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Tito Maniacco (poeti friulani # 4.1)

fotografie di Danilo De Marco

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In principio era la parola

I

Credo che la parola sia perduta,

tanta fatica costa pronunciarla.

 

Credo che noi siamo perduti

senza la sua stella.

 

Allora ognuno, vinto dal panico,

getterà le armi e s’arrenderà

al dolce clemente nemico.

 

 

II

 

Vi è nelle cose un senso più profondo

che sfugge, come nelle conchiglie il mare.

Arrendersi, ora, è morire

della morte che questo secolo ci può dare,

come il diritto al benessere, alla macchina,

agli strumenti del demonio,

i feticci alienanti della merce,

dove gli idoli di plastica

dominano l’uomo di carne.

 

Ma non deve e non può perdersi

LA PAROLA.

Essa è il segno significante dell’esistere

nella preistoria, dai favolosi regni

della spinosa necessità agli alti,

umani e solari regni della libertà.

 

 

III

 

Dalle vecchie fiabe leva la radice quadrata.

Ricordi le due parole di Alì che aprivano il monte

dentro il quale il migliore dei mondi possibili

esisteva per ogni possibile mercante?

Ricordi i sassolini lucenti e bianchi di Pollicino,

lo splendore d’aurora dell’uccello di fuoco,

l’acciarino del baldo soldato che tornava dalla guerra,

la vecchia lampada polverosa di Aladino?

 

Nella stanza cava del tempo

una parola è la chiave per l’ingresso.

Un segno, in apparenza minuto, ridicolo, meschino,

passato di moda, scartato dai consumi,

carico della profonda tensione delle cose.

 

 

IV

 

Questa parola non è perduta: è ancora il sasso,

la chiave, lo stivale, l’acciarino, la lampada

della nostra storia.

 

PERCHÉ IO NON SIA PIÙ MORTO, PERCHÉ NOI NON SIAMO PIÙ MORTI.

non basta il coraggio, la sapienza, la costanza:

 

È IL NOME CHE DÀ ALLE COSE LA FORZA DELLE COSE

 

da

Una sorta di ira, 1968

 

 

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Ecco la mano che sorregge i pensieri

 

Ecco la mano che sorregge i pensieri

Ecco la mano che porta ai confini del mondo

i desideri del mondo

Ecco la mano che vola come una colomba

e s’appoggia al ramo che stilla l’umida notte

Ecco la mano che cerca nel buio la mano

Ecco la morte che prende in mano la mano

 

Ecco la commedia è finita ringraziate l’attore

 

da

Le vette del tempo, 1971 (Premio Cittadella 1972)

 

 

 VIII

 

E quando i pesci iniziarono il loro lento volo

si sedette a pensare chiuso in un bozzolo d’argento

avendo paura della sera astuta che calava

lunghe reti di stelle davanti alla finestra

 

Egli non aveva che una rigida penna

per difendersi dal ragno

 

Lo aiutasse almeno la memoria che serba

in scatole comuni le ceneri del tempo

 

da

Le vette del tempo, 1971 (Premio Cittadella 1972)

 

 

RICORDI DI UN VECCHIO PIANETA

 

Ci sono ancora osterie sommerse dagli ontani ricchi di gazze

dove i rami accecano le basse finestre e battono nervosi

sui tegoli sdruciti nelle sere del forte vento che lucida le stelle

che strade infangate ad angoli curvi chiusi dagli umidi gelsi

riconducono per colline e brughiere ai viandanti serali

azzurrati dai filtri delle nubi che volano stridendo

in forma d’oche selvatiche ai loro bei tempi

Osterie dai tavoli vecchi dove gorgheggia ricama flauteggia

contralta tenoreggia baritona nei chiusi cerchi vetrati

il tenero vino friulano che cauto accompagna

la pannocchia al suo finale viaggio e la morte acuta del porco

Osterie lontane allontanate asteroidi d’alberi e vigneti

dove sorge e muore il canto del gallo?

 

Ci sono ancora osterie ci sono sommerse dagli ontani?

 

 da

Una luce generale, 1973 (Medaglia d’oro Gabicce mare 1975)

 

 

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SPUNTA L’AURORA SUL PIANETA

 

Spunta l’aurora sul pianeta ma la sua ombra inganna gli sfruttatori

che così camminano nella luce come nelle tenebre

I galli sono morti nei campi le uova sono ricordi di cristallo

Le fabbriche gemono nelle campagne e producono acido fumo

e ruscelli scintillanti di plastica vanno da tutto il mondo

alla torre sulle montagne che non teme le lingue

perché parla per nastri perforati

e nessuno di nessuno

verrà più a confondere i costruttori

verrà mai a

 

da

Una luce generale, 1973 (Medaglia d’oro Gabicce mare 1975)

 

 

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Anche dentro le discipline umane

la morte

non è la fine ché sempre si ricomincia

o si suppone

di

ma il fine

che compone e intreccia corolle

lungo freddi ruscelli da trote

ed ecco il rosmarino e questo è per la rimembranza

ed ecco delle viole queste per i pensieri

e se i pensieri fossero viole

la morte avrebbe sempre un profumo di primavera

ma i pensieri sono tali perché

così li affila instancabilmente la dura mola della mente

 

capite signore

li affila e li fa aguzzi

e più aguzzi diventano

e più sono taglientemente inutili

 

Che fare dei pensieri se non girarli e rigirarli

come una frittata esangue sulla fumante e nera padella?

E nel girarli il rovello scorre fino alle dita

che bianche su bianchi polsini

sfogliano e fermano fermano e sfogliano

Ma mentre questo colorato autunno

che chiamiamo vita

ha in sé la natura di appassire

nella sua arrendevole comprensione della morte

il pensiero s’adagia sul calar delle foglie

su di esse meditando rovescia la melanconia

nell’affilata considerazione dell’infelicità

sì che pare infelice chi felice non è

di esistere

ma tale è nel pensarsi infelice

così la contraddizione nelle sue ricorrenti e violente maree

è la felice constatazione dell’imperfezione

che giunta a quel punto conduce il corpo

all’infelicità del moto fra gli uomini

e del parlar con essi

tanto che il pensiero che nello stesso tempo

lo precede e fatalmente lo segue

senza concludere se non per sé e sol per sé

arriva al punto di non ritorno

quando meditando davanti al liquido argento d’uno specchio

dice che se davvero dormire è un bene

e il risvegliarsi un danno

pure quel danno

è tutto quanto si può portare

fino alle regali porte della morte

 

 dal poemetto

Gentiluomo nello studio, 1996

 

 

Kappa n. 52

 

annota diligente Kappa

su carta giallo pallido

14 X 17

nella lotta fra te e il mondo

asseconda il mondo

 

se così farai sarai perduto

sarai perduto anche se non l’asseconderai

 

insomma

compagno

il gioco è truccato

 

da

Aforismi di Zürau di Kafka, 2006 (inediti)

 

 

003-Tito-dietro-alla-finestr

 

 

 

Il viandante

 

Il viandante che tutto sa

s’agita alle novità

e come una farfalla

s’immerge nel nettare del fiore

 

è inutile

indicare il tramonto con il dito

se non hai il senso

della fine delle cose

 

da

Oltris, 2009

 

 

Al dondolio del ramo

 

Al dondolio del ramo

sog

giace

la scintillante rubra mela

 

nessun Newton montanaro

valuterà per gli infiniti giorni

la sua caduta

né un Watson campagnolo

misurerà l’attimo fuggente

in

scritto

nel Grande Libro

quando e il peso

e il moto

e il caso

incideranno sul picciolo

alla terra

tremula nell’arcobaleno di guazza

abbandonerà le spoglie

la rossa mela

o la mia vita

 

da

Oltris, 2009

 

 

Prima di partire per

 

Prima di partire per il capo del mondo

prima di partire si disse

voglio una sacca piena di moleskine

si disse Chatwin

per graffiare i segni dell’esperienza

prima che combusta

vada nella brezza dell’Ellesponto

come le ceneri di Patroclo

si disse Chatwin

attorcigliando il voglio

intorno al ferro del fattibil

 

ma

ma l’anonima madame della cartoleria

in rue de l’Ancienne Comédie

afona

indifferente

rispose

messié Chatwìn

le vrai moleskine n’est plus

n’est

 

da

Poesie per il XX secolo

 

 

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Tito Maniacco è nato nel 1932 a Udine, dove ha compiuto gli studi e, presto, ha iniziato la sua intensa vita intellettuale, impegnandosi nella scrittura poetica e nelle arti figurative, senza trascurare l’appassionata attività di insegnante e la militanza politica. Morirà nel 2010.

Ha pubblicato numerosi libri di poesia. L’ultimo, postumo, è stato Il guardiano del faro (2014) [che sarà oggetto della terza parte di questo omaggio a lui dedicato].

 

Questa è la prima parte (di tre) della quarta tappa di un itinerario ideato da Danilo De Marco riguardante alcuni poeti friulani attuali non conosciuti dal grande pubblico, cominciato con Federico Tavan, e continuato con Ida Vallerugo (prima parte  e seconda parte) e Novella Cantarutti. Con il suo consueto modo di operare/fotografare, e di concepire la fotografia, De Marco ha ritratto questi autori, non tutti facili da avvicinare, solo dopo averne una conoscenza intima, e con una grande empatia, seppure non priva forse di qualche venatura ironica. GS

 

 

 

 

 

 

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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