IL GAROFANO
da La rage de l’expression
[1946] Poesia/Gallimard, 1976 pag. 55-72
Rilevare la sfida delle cose al linguaggio. Per esempio questi garofani sfidano il linguaggio. Non avrò tregua finché non avrò assemblato qualche parola alla lettura o all’ascolto della quale uno debba gridare necessariamente: è di qualche cosa come un garofano che si tratta.
E’ questa la poesia? Non lo so e poco importa. Per me è un bisogno, un impegno, una collera, una questione d’amor proprio ecco tutto.
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Non pretendo di essere un poeta. Credo che la mia visione sia molto comune.
Data una cosa – la più ordinaria possibile – mi sembra che essa presenti sempre delle qualità veramente particolari sulle quali, se queste fossero chiaramente e semplicemente espresse, ci sarebbe un’opinione unanime e costante: queste sono quelle che io cerco di liberare.
Che interesse ha liberarle? Fare guadagnare allo spirito umano queste qualità, di cui egli è “capace” e di cui solo la sua abitudine gli impedisce di impadronirsi.
Quali discipline sono necessarie al successo di questa impresa? Quelle dello spirito scientifico senza dubbio, ma soprattutto molta arte. Ed è perché io penso che un giorno una tale ricerca potrà essere legittimamente chiamata “poesia”.
*
Si intravedranno attraverso gli esempi che seguiranno quale importante lavoro di scavo ciò suppone (o implica), a quali utensili, a quali procedimenti, a quali rubriche uno deve o può fare appello. Al dizionario, all’enciclopedia, all’immaginazione, al sogno, al telescopio, al microscopio, a due lenti di ingrandimento, alle lenti da presbite o da miope, al gioco di parole, alla rima, alla contemplazione, all’oblio, alla volubilità, al silenzio, al sonno, ecc.
Si vedrà anche quali scogli si devono evitare, quali altri bisogna affrontare, quali navigazioni (quali bordate) e quali naufragi – quali cambiamenti di punto di vista.
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E’ molto probabile che io non possieda le qualità richieste per portare a buon fine una tale impresa – in alcun modo.
Altri verranno che utilizzeranno meglio di me i procedimenti che indico. Saranno gli eroi dello spirito del domani.
(Un altro giorno.)
Cosa c’è di particolare, insomma, nell’ingenuo programma (valido per tutte le espressioni autentiche) esposto solennemente qui sopra?
Senza dubbio solamente questo, il punto seguente : … dove io scelgo come soggetti non dei sentimenti o delle avventure umane ma degli oggetti i più indifferenti possibile… dove mi appare (istintivamente) che la garanzia della necessità dell’espressione si trova nel mutismo abituale dell’oggetto.
… al tempo stesso garanzia della necessità di espressione e garanzia di opposizione alla lingua, alle espressioni comuni.
Evidenza muta opponibile.
I
Tetragono: fortemente attaccato alla sua opinione.
Farfallette , farfalle, papille: stessa parola di vacillare.
Lacero: dalla parola tedesca skerron. Lacerato.
Denti e merletti .
Chiffons. Crema, cremoso.
Garofano: Linneo lo chiama mazzo perfetto, mazzo completo.
Satin.
Festoni: “Queste belle foreste che decorano con un lungo festone mobile la sommità di queste coste”.
Sbattuto: crema sbattuta, che a forza di essere sbattuta diventa tutta schiuma.
Starnutire.
Gracchiare e Giocasta.
Jabot: appendice di mussolina o di pizzo.
Sgualcire: spiegazzare, fare prendere pieghe irregolari. (l’origine è un rumore)
Increspare (un tovagliolo): piegare in modo che faccia delle piccole onde.
Stropicciare, nel senso di spiegazzare. Si confonde con fespe, da fespa, che vuol dire chiffon e anche frangia, una specie di peluche.
Frange: etimologia sconosciuta. 2° termine anatomico: sinonimo di sinoviale.
Lacerare: tagliare a brandelli, facendo diversi tagli. Lacerarsi, farsi dei tagli.
2
In contrapposizione ai fiori calmi, rotondi: calle, gigli, camelie, tuberose.
Non che lui sia folle, ma è violento (sebbene bello folto, assemblato in limiti ragionevoli).
3
In cima al gambo, fuori da un oliva, da una ghianda morbida di foglie, si sbottona il lusso meraviglioso della biancheria.
Garofani questi meravigliosi chiffon.
Come sono se stessi.
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Ad annusarli si prova un piacere il cui rovescio sarà lo starnuto.
A guardarli, ciò che si prova vedendo delle mutandine frastagliate a dentelli, di una ragazza cha ha cura della sua biancheria.
5
Per “sbottonarsi”, vedi bottone. Vedi anche cicatrice.
Bottone: visto che, non si possono accostare punta e bottone, né sbottonare nella frase, perché è la stessa parola (di appiccare , spingere).
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E naturalmente tutto non è che movimento, e passaggio, altrimenti la vita, la morte, sarebbero incomprensibili.
Sebbene abbiano inventato la pillola da sciogliere nell’acqua del vaso per rendere il garofano eterno – nutrendo di succhi minerali le sue cellule – nonostante egli non sopravvivrà per lungo tempo in quanto fiore, il fiore non è che un momento dell’individuo, che gioca il suo ruolo come la sua specie gli ingiunge.
(Questi primi sei pezzetti, la notte del 12 al 13 giugno 1941, in presenza di garofani bianchi del giardino di Madame Dugourd.)
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Sulla punta del gambo si sbottona fuori da un’oliva morbida di foglie uno jabot meraviglioso di satin freddo con un vuoto d’ombre di neve verde, dove c’è ancora un po’ di clorofilla, e il cui profumo provoca all’interno del naso un piacere quasi al limite dello starnuto.
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Farfalletta straccetto arricciato
Strofinaccio di lusso dentellato
Chiffon arricciato di raso freddo
Fazzoletto di lusso smerlato
Stracci di lusso in raso freddo
Di smalto
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Jabot farfalletta o fazzoletto
Strofinaccio di lusso smerlato
Chiffon
Di raso freddo smerlato
Odoroso montato a neve fuori di sé
Sulla punta del gambo di bambù verde
Un rigonfiamento d’unghia lucida
Si gonfia una ghianda morbida di foglie
Sacchetti multipli odorosi
Da cui scaturisce il vestito montato a neve.
13 giugno
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Faro da asola
Proiettore
Lampada portatile
Magondo
Jabot chiffon farfalletta o fazzoletto
Cenci stracci brandelli
Sbuffi di biancheria o ruche
Di raso freddo
Ricco opulento assemblaggio
Competizione associazione
Manifesto riunione
Di petali di un tessuto umido
Freddamente satinato
Folla uscente ad ala a delta dalla comunione
O mutandine dai bei smerli di fanciulle che hanno cura della loro biancheria
Spandendo profumi di un tipo per ogni istante
Che rischiano quel piacere di mettervi sull’orlo dello starnuto.
Trombette piene gole ostruite.
Per la ridondanza della loro propria espressione
Gole interamente ostruite da lingue
I loro padiglioni le loro labbra strappate
Per la violenza dei loro gridi delle loro espressioni
Arricciature spiegazzate crespe sgualcite
Frange merlettate montate a neve
Stracciate ricciolute insellate
A cannolé goffrate arricciate
Ritagliate strappate piegate frastagliate
A ruche storte ondulate dentellate
Cremoso spumoso bianco nevoso
Omogeneo unito
Mazzo perfetto mazzo completo
Fuori dalla ghianda morbida dell’oliva morbida e appuntita
Che si fa socchiudere che si fende
Alla fine del suo gambo fine bambù verde
Dai rigonfiamenti distanziati lucidi
E languidi il più semplicemente possibile
Così fino all’approssimarsi di luglio
Si sbottona il garofano
14 giugno
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All’estremità del suo gambo fine bambù verde dai distanziati rigonfiamenti lucidi da dove si dipartono due foglie simmetriche molto semplici piccole sciabole si gonfia con successo una ghianda un’oliva morbida e aguzza che si forza di socchiudersi che fende un occhiello da dove si sbottona
un jabot di raso freddo meravigliosamente increspato una ruche a profusione di linguette storte e strappate dalla violenza dei loro propositi:
specialmente un profumo tale e quale produce sulla narice umana un effetto di piacere quasi starnutatorio
15 giugno
12
Il gambo
di questi magnifici eroi – segue esempio –
è un fine bambù verde
dagli energici rigonfiamenti distanziati
lucidi come unghia
Su ciascuno di essi si sguainano questa è la parola
due o tre semplici piccole sciabole
simmetricamente inoffensive
All’estremità destinata al successo
si gonfia una ghianda una oliva morbida e appuntita
Che improvvisamente da luogo a una modificazione
sconvolgente
la forza di socchiudersi che la fende
e si sbottona?
Un meraviglioso chiffon di raso freddo
un jabot a profusione di faville fredde
di linguette dello stesso tessuto
storte e strappate
per la violenza dei loro propositi
Una trombetta colmata
dalla ridondanza dei suoi stessi gridi
dal padiglione strappato dalla loro stessa violenza
Finché per confermare l’importanza del fenomeno
si spande continuamente un profumo tale che provoca nella narice umana
un effetto di piacere intenso
quasi starnutatorio.
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All’estremità di una stoppia energica
le trombette di cencio
strappate dalla violenza dei loro propositi:
un profumo d’essenza starnutatoria
*
L’erba dalle rotule immobili
*
Il bottone di una stoppia energica
si fende in garofano
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O tagliato in OE
O! Bottone di una stoppia energica
tagliato a OCCHIELLO!
L’erba, dalle rotule immobili
ELLA oh vigore giovanile
L dagli apostrofi simmetrici
O l’oliva morbida e appuntita
spiegata in OE, I, due L, E, T
Linguette strappate
Dalla violenza dei loro propositi
Raso umido raso freddo
ecc.
(Il mio garofono non doveva poi essere una gran cosa: devo insinuare due dita per poterlo tenere)
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Retorica risoluta del garofano.
Fra i godimenti che comportano le lezioni da trarre dalla contemplazione del garofano ce ne sono di molti tipi e io voglio, graduando il nostro piacere, cominciare dalle meno eclatanti, le più terra a terra, le più basse, le più vicine al suolo e le più solide forse, quelle che escono dallo spirito e nello tesso tempo fanno uscire dalla terra la piccole pianta stessa…
Questa pianta all’inizio non differisce molto dalla gramigna. Si aggrappa al suolo che pare in quel punto di volta in volta laminato e sensibile come una gengiva che sente dei canini appuntiti. Se cerchiamo di estirpare il piccolo ciuffo non ci riusciamo se non con difficoltà, perché ci accorgiamo che esso ha là sotto una specie di lunga radice che segue orizzontalmente la superficie del suolo, una lunga volontà di resistenza molto tenace, relativamente molto considerevole. Si tratta di una specie di corda molto resistente e che sconcerta chi la estirpa, lo costringe a cambiare la direzione dei suoi sforzi. E’ qualcosa che assomiglia molto alla frase con la quale io cerco “attualmente” di esprimerla, qualche cosa che si srotola meno di quanto essa non si strappi, che si tiene al suolo con mille radichette avventizie – e che è probabile che si spezzerà di netto (sotto i miei sforzi), prima che io abbia potuto estrarne la principale. Conoscendo questo pericolo io rischio viziosamente, senza vergogna, a più riprese.
Basta così, non è vero? Lasciamo la radice del nostro garofano.
– La lasceremo, certo, ma ritornati a uno stato d’animo più tranquillo, ci domanderemo pertanto, prima di lasciar risalire i nostri sguardi verso il gambo – seduti sull’erba per esempio non lontano di là, e contemplandolo senza più toccarlo – le ragioni di questa forma che essa ha preso: perché una corda e non un perno o una semplice arborescenza sotterranea come sono di solito le radici?
Non dobbiamo cedere in effetti alla tentazione di credere che questo sia soltanto per provocarci questi arrovellamenti che io vengo a descrivere che il garofano si comporta così.
Ma si può scoprire forse nel comportamento di un vegetale una volontà di abbracciare, di legarsi alla terra, di esserne la religione, i monaci – e di conseguenza i maestri.
Ma torniamo alla forma di queste radici. Perché una corda piuttosto che un perno o una arborescenza come sono di solito le radici?
Può aver avuto, per la scelta di questo stile, due ragioni, valide l’una o l’altra a seconda se si decida che si tratti d’una radice aerea o al contrario di una radice rampicante.
Forse, se si tratta di un arbusto atrofizzato, di un arbusto stanco e senza forza e senza abbastanza forza per elevarsi verticalmente dal suolo, forse qualche esperienza millenaria gli avrà insegnato che gli conviene meglio riservare la sua altezza al suo fiore.
O forse questa pianta deve condurre attraverso una vasta distesa di terreno la ricerca dei rari principi convenienti alla nutrizione dell’esigenza particolare che ha portato al suo fiore?
L’ampiezza stessa di questi paragrafi consacrati alla sola radice del nostro soggetto risponde a una preoccupazione analoga, senza dubbio… ma ora ne abbiamo abbastanza.
*
Così, ci siamo, il tono è stato trovato, dove l’indifferenza è stata raggiunta.
Era questo l’importante. Tutto a partire dalla collera della radice… un’altra volta.
E posso anche starmene zitto.
Roanne, 1941, Paris-1944.