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BRIVIDO D’INVERNO [1867] di Stéphane Mallarmé

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__

 

a M…

 
Questa pendola di Sassonia, che ritarda e suona la tredicesima ora fra i suoi fiori e i suoi dei, di chi è stata? Penso sia venuta dalla Sassonia con le lente diligenze, in passato.

(Singolari ombre pendono ai vetri consunti)

 
E il tuo specchio di Venezia, profondo come una fredda fontana, alla riva di serpenti d’oro scrostato, chi si sarà rimirato? Ah! Sono sicuro che più di una femmina ha bagnato in quest’acqua il peccato della sua bellezza; e forse vedrò un fantasma nudo se lo guarderò per lungo tempo.
 
– Villano, tu dici sovente certe cose sconvenienti…

(Vedo delle tele di ragni in alto sulle grandi finestre)

Chiaiano, un’altra verità

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di Maurizio Braucci

“Ogni volta che ci dicono: perché non protestavate quando la camorra sversava i rifiuti tossici? Io salto dalla sedia. Ma come? Negli anni ’80 facevamo i presidi di notte, rischiando la vita, per bloccare i camion che lavoravano per la criminalità organizzata. Come pensate che siano nate tante inchieste dell’antimafia?” E’ Angelo Genovese a parlare, zoologo, ha 48 anni, ex attivista di Legambiente, oggi è tra quanti sono contrari all’apertura della discarica di Chiaiano.”La mia prima denuncia sullo sversamento dei rifiuti tossici risale all’85, allora la gestione stava nelle mani di piccoli clan locali da cui, noi attivisti, subivamo minacce ed intimidazioni perché portavamo alla luce un sistema del tutto abusivo e la legge era dalla nostra parte.”

Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato 2

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[18 immagini + lettere invernali per l’estate; 1

di Andrea Inglese

Cara Reinserzione Culturale del Disoccupato

io ci terrei che il lavoro
quando riuscissi a trovarlo
(entrando all’improvviso con il foglio
di giornale ripiegato
magicamente sotto il braccio
e le parole dell’annuncio
tutte evidenziate, azzurre)

io vorrei che il lavoro stesso
trovasse me
e nella più agile e audace delle posizioni
di una prontezza spontanea
completamente sincera

Le ragioni del ritorno

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Eraldo Affinati risponde a Massimo Rizzante

Massimo Rizzante
Comincerei da una delle tue ultime fatiche, Compagni segreti. Storie di viaggi, bombe e scrittori (Fandango, Roma 2006). Questo libro – anche se ha una parte letteraria dedicata agli scrittori che formano il tuo «museo immaginario» – assomiglia alle tue opere precedenti (spesso alla frontiera tra finzione e documento). Anche qui sei presente come autore e allo stesso tempo come protagonista. Da una parte, infatti, scrivi su altri scrittori, dall’altra non rinunci a essere quel personaggio-viaggiatore intento ad «agire», a toccare con mano luoghi e misfatti della storia del XX secolo. Potremmo proprio partire da qui, dalla memoria del secolo dei «totalitarismi», specificando che chi investiga e ricorda, come più volte hai scritto, non ha direttamente vissuto le esperienze fondamentali di cui narra e che in ragione di ciò si sente un «reduce» (l’etos del reduce, al contrario di quello del malinconico che viaggia cercando di smarrirsi nel paesaggio e nella Storia, è contraddistinto dall’entusiasmo di chi, sperimentato il limite, comprende il valore del ritorno a casa, il valore del ricominciare ogni volta dai propri limiti). Non è un caso, quindi, se all’inizio di Compagni segreti, troviamo il personaggio-viaggiatore in Giappone, a Hiroshima…

Eraldo Affinati
Compagni segreti è effettivamente un libro di viaggi in cui racconto i miei reportage da alcuni luoghi resi tristemente noti dagli eventi della seconda guerra mondiale: Hiroshima, Nagasaki, Stalingrado, Cassino, Berlino

RADIOBAHIA: racconti per canzoni [012]

4

di Marco Ciriello

RADIOBAHIA: suona

“Between the bars”
di Elliott Smith

12.
Un futuro pieno di pioggia, acqua per cuori assetati, prevede la veggente chiamata La Paca. Ha forma di un bambino, invece, per Erika Pérez, poliziotta a Città del Messico. Incinta e senza compagnia, appena uscita dal quartiere di Tepito, un posto più pericoloso della striscia di Gaza, porta la vita sulla spalla della morte.

Per non lasciare le penne

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Passaggio all’atto
di
Isabella Borghese

La tua telefonata. Sei tu, vero? Era lui l’ Editore, sì, il caro Mio Editore. Doveva dirmi che avevano in mano la copertina. Invece, No. Lui c’era ma a dirmi che saltava la pubblicazione, chiudeva la collana. E così mentre la sua voce stronza gracchiava a esortarmi di uscire dalle mie storie, da Glavaise, da Angel, da Sofia e di scrivere di me senza costruzioni e di tornare da lui dopo un anno poiché mi avrebbe letto, io concludevo, Credimi pure, stronzo!, non tornerò mai da te, clic, e andavo a strappare il mio contratto.
Ho lanciato il cellulare sulla scrivania accanto al letto dove ha dormito Jacques in quella notte romana. Mi son persa per ore in quello schermo bianco a percepirlo quasi ingombrante, a sentirmi ai tempi di scuola quando rimanevo per momenti infiniti nell’incipit di un tema. Quello schermo, ora, non l’avrei mai riempito con la mia vita. Era il mio pensiero fisso alla sua eco, caro Mio Editore, intende?

Mobilità

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di Marco Rovelli

Ci sono uomini che traversano deserti, e popolano terre di nessuno. Un viaggio necessario, inarrestabile. “Ma voi davvero pensate che è possibile fermare una marea umana di questo tipo? Pensate davvero che riuscirete a frenarci?” – così grida un senegalese appena rimpatriato dalla Spagna, e così inizia A sud di Lampedusa di Stefano Liberti (minimum fax, 14 euri), giornalista del manifesto, a cui quel grido era rivolto. Questo libro non è una raccolta di articoli ognuno dei quali parla di un luogo diverso dei tanti che costellano il cammino dei migranti africani. Certo, Liberti ci racconta nel dettaglio gli itinerari, le facce, le parole, le speranze, i paesaggi. Dà un corpo, insomma, a quel travaglio che precede l’apparizione degli uomini neri sulle nostre coste. Ed è questo il primo livello della lettura, quello che tocca: i volti e i contorni delle persone e dei luoghi incontrate lungo il viaggio, figure indimenticabili. Ma più a fondo A sud di Lampedusa è un percorso critico nei “luoghi comuni”.

Una guida

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di Antonio Sparzani

Non so se si tratta di una guida pratica all’eternità, certo è una guida a conoscere un mondo complesso e quotidiano, intriso di fantasia e di cruda realtà, di metafore ardite e di torte di fango.
Una ventina di racconti. Brevi, esili, sembra, però dei flash, accesi per un attimo su un intrico di realtà, che si srotolano alle porte di Roma, intorno a quella stazione che vedete nell’immagine.

Sullo sfondo di tutto sta la costruzione di un centro per i giovani, meglio se sfigati assai, e la presenza di un sacerdote eccezionale, ovunque nominato come don Mario, che questo centro ha voluto e ottenuto con un’energia e un coraggio incredibili.
Fabrizio Centofanti, tra autobiografia e metafora, ci infila a poco a poco in questo mondo, senza pesantezze e senza trattati, ma con mano sicura, forte di una vita spesa senza risparmio vicino a realtà al di là di qualsiasi border-line.

Manicomio e Fortuna come le sigarette

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di Giuseppe Rizzo

Laura è accovacciata sul cofano della macchina. I vetri sono appannati, fuori piove, ma io sono abbastanza sicuro che sta piangendo. Si tiene la testa con le mani, ogni tanto si gira e mi guarda. La cosa va avanti finché non scendo io, e allora lei sale.
La supero senza guardarla, per paura che mi possa trasformare in una statua di sale. A piazza delle Vergogne, sotto l’acqua, mi guardo le statue bene bene, una a una, lentamente; poi, sempre lentamente, giro la testa verso l’aquila sopra il portone del Municipio, e cerco di darmi fuoco.
Il fatto è che piove. È mercoledì delle ceneri, e piove. Davanti palazzo delle Aquile e lungo tutta via Maqueda non c’è nessuno – Palermo non è animale da farsi piacere l’acqua.

Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato 1

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[18 immagini + lettere invernali per l’estate, una alla settimana]

di Andrea Inglese

Cara Reinserzione Culturale del Disoccupato,

che io sia malato, o che sia mai stato malato, o che possa
sotto i tuoi occhi, o i miei stessi, indossando quello che indosso,
(certe scarpe nere coi lacci)

ammalarmi

lo reputo della più assodata
improbabilità.

Eppure esisto,

Nati per correre

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di Luca Ricci

1
Il corridoio è proprio bello. Somiglia a una di quelle corsie lunghe e strette in cui vengono ripartite le piste da corsa. Non sono un esperto corridore, questo no. Trovo perfino noiose le Olimpiadi in televisione, figurarsi.
– Quant’è?
– Cinque metri e venti.
Segno il numero su un blocchetto. Mia moglie è all’altro capo del nastro. Preme un bottone e le ritorna in mano. Cioè si arrotola e finisce dentro una scatolina. Così è comodo procedere. L’ho comprato apposta. Prima di oggi non avevo mai dovuto misurare niente, a quanto pare. In ferramenta mi hanno detto che mi serviva una rotella metrica. Io ero andato con l’idea di chiedere un semplice metro. Mi ricordavo di quelli pieghevoli, in legno. Quando ero piccolo ce n’era uno simile, in casa. Ma quello era lungo al massimo un paio di metri. Adesso ho potuto scegliere tra cinque e otto. Ho comprato quello da otto.

I boschi ombrosi e l’arte dell’oblio

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di Marco Palasciano

[ Si pubblica uno studio-racconto che ritengo di grande rilievo. Lo scrittore Marco Palasciano fa chiarezza sulla realtà dei rifiuti campani, ovvero la complica terribilmente. D.P. ]

Prologo.

Presso «de l’ombre il vasto impero» (Orfeo, atto III)

__Un’Europa si aggira tra i fantasmi. Rifugiatasi nella loro caverna, la ragazza affannata dalla corsa sulla riva – un fiore d’ibisco le cade dai capelli – prova a afferrare per un lembo una, un’altra, né mai riesce a far presa, di quelle figure vane, a gridare nei loro orecchi sordi che c’è un toro che la insegue. Ma lei per le ombre è un’ombra; camminano senza vederla, intente al loro niente; e già un mugghito ottenebra la soglia.
__(Quest’Europa non è Europa, è Campania; e quel toro non è Zeus innamorato, ma un mostro sbranatore, metà ragno, affine al kraken che aspettava Andromeda.)

Last Walser

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Walser, il narrare è come la fuga di un brigante
di
Riccardo De Gennaro

“Edith lo ama. Ma ci ritorneremo su”. È il sorprendente inizio del romanzo “Il brigante” di Robert Walser (1878-1956), che inspiegabilmente non è ancora stato tradotto in Italia (ma forse Adelphi, che ha pubblicato molte sue opere, colmerà presto la lacuna). Siccome non so il tedesco, mi sono procurato “Il brigante”, o meglio “Der rauber”, in francese (“Le brigand”, Folio) ed ora credo di poter garantire che si tratta di uno dei romanzi nello stesso tempo meno conosciuti e più innovativi del Novecento. Walser, che qualcuno ha definito “il più solitario tra i poeti solitari”, vi esercita gli straordinari poteri dello scrittore con la massima libertà e disinvoltura, intrattenendo ad esempio un dialogo diretto ed esplicito con i suoi stessi personaggi e operando continue digressioni narrative, senza poi preoccuparsi di tornare dov’era partito. In sintesi, il libro è l’avventurosa storia di un simpatico e anonimo antieroe, detto appunto “il brigante”, il quale altri non è se non l’alter-ego dello stesso Walser, che a un certo punto invita addirittura il protagonista a partecipare con lui alla stesura del romanzo.

In cima…

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AOSTA – Una famiglia distrutta da una banale scivolata su un ghiacciaio. Sono morti in quattro, padre e tre figli: Olandesi, nel loro ultimo giorno di vacanza sulle Alpi, precipitati per 500 metri dal Mont Dolent (3.823 metri), sul massiccio del Monte Bianco, in Valle d’Aosta. La madre ha assistito alla tragedia 200 metri più sotto.
continua qui

…al limite, proprio
di
Carlo Grande

Non è questo che cerchiamo, in montagna? Non solo scampo all’afa di città, ma l’evasione dalla vita di tutti i giorni, il frisson dell’imponderabile, la possibilità di misurarci con le nostre forze. Non si cerca la tragedia, ma la si corteggia, a volte. Si sfiorano i nostri limiti e se non si conoscono o si sottovalutano, o se interviene l’imponderabile, si entra “nella zona della morte”. Invisibile ad occhi inesperti ma a volte drammaticamente vicina, anche a quote turistiche.

RADIOBAHIA: racconti per canzoni [011]

3

di Marco Ciriello

RADIOBAHIA: suona

“Sunday Morning”
dei Velvet Underground

11.
Sognando in modo percettibile, Bull Montana si vide davanti all’oceano, sembra la California, «sta succedendo davvero?» su e giù nell’ombra, «quale è il livello successivo?» Il sole splende a tutta forza, nessuno gli tiene la mano, lui si sente ancora una volta perduto. È davvero curioso come accumulando fatti lontani fra loro uno possa costruire una storia. Pensa.

La fame

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di Nina Maroccolo

Rinnovamento della colpa: il nemico guerrafondaio.
Un continuo scoscendere per riproporre padri e madri divoratori. La temuta necessarietà di promulgare i massimi sistemi endocrini, endogeni ed egoici, nei quali il castigo ascende verso la tanto sospirata redenzione: a seguire i giorni del perdono.
E c’è un capro fra noi. Tra noi, una creatura disabitata. Rea per dovere inconsapevole, avvilita nelle stazioni d’un deserto animale. Un capro abbandonato, costretto a vagolare tra dune epiteliali sino allo sfinimento. Ad espiare qualcosa che è nostro: non suo.
Un povero Cristo alienato, di cui l’astrazione –o distrazione– darwiniana.

Lettera agli amici italiani

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di Karl Betz

Cari amici: Giovanni cattivo (quello di Porto Torres), Giovanni buono (quello di Alghero), Nicola, Lia, Laura, Guido, Adda, Maria-Antonietta, Giancarlo (fiero pastore), Daniel,

posso raccontarvi qualcosa della mia famiglia?

50 anni fa una sorella di mio padre, zia Rosl, è emigrata in Australia. Là vive, sposata con un greco, John Anagnostou. Sono sempre stato orgoglioso di avere uno zio greco, anche se acquisito, perché il greco, al liceo, è sempre stata la mia materia preferita. Quei due zii però, non li ho mai conosciuti personalmente. Parlando al telefono con zia Rosl si sente ancora chiaramente lo spiccato dialetto francone (della zona di Würzburg), frammisto all’accento inglese.

Tra vecchie carte, pagelle scolastiche ecc, zia Rosl ha scoperto un documento che per me possiede un alto valore sentimentale. Ora me lo ha spedito per raccomandata dalla Tasmania:

Si tratta dell’Entlassungsschein (foglio di scarcerazione) di mio padre Alphons Betz, dal campo di concentramento di Dachau, reparto prigionieri politici.

Da “L’uomo avanzato”

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di Mariano Bàino

(…)
Ho anche la percezione della mia inermità. Ma non è solo questo. Oltre che vulnerabile, sento il corpo come trasparente, formato davvero in prevalenza da acqua. È netta la sensazione che messaggi animali passino attraverso il mio corpo. Da principio la cosa è troppo snervante per permettere la concentrazione; ma dopo un po’, quando nulla è successo di minaccioso per la vita, il ritmo della discesa e della risalita per respirare diventa tranquillizzante. Il mare è calmo, le ondate che si rompono sulla scogliera non fanno più rumore che il pulsare del sangue. Se proprio dovesse assalirmi l’inquietudine, immaginerò la scogliera come la vedo di giorno, il suo circondare l’isola da più di un lato, alla distanza forse di un chilometro; la sua corsa parallela alla spiaggia e alle rocce. Sembra uno scarabocchio fatto nel mare da un gigante che avesse voluto ricalcare la forma dell’isola con un tratto continuo di gesso, ma si fosse poi stancato prima di finire. All’interno, l’acqua, se la penso com’è di giorno, consiste in un azzurro chiaro come la coda di un pavone, e vi si vedono le rocce e le alghe come in un acquario; al di fuori il mare è di un blu scuro. Quando la marea sale lascia lunghe strisce di schiuma sugli scogli.

Incontri letterari sulla riviera di Ulisse

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Libri sulla cresta dell’onda 2008

LAVORO DELL’ALBA (*)

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di Nadia Agustoni
 
Ugo Mulas, Milano 1953-54

Ugo Mulas [ 1928 – 1973 ]
da www.ugomulas.org

 

lavoro dell’alba

 

Lavoro dell’alba, shock mattutino
l’aspettare, tenere l’attesa che è acino maturo,
confondersi al quadrare dell’ora
far su le cose con gesto grezzo e grande
che t’impari quel che è creato
t’impari un sonetto di silenzi
prima del rumore delle ferramenta
che esplodono quando ti maciulla il costato l’ingranaggio
e tu sei arnese che pensa e non pensa ch’è presto ancora
e tardi farai anche alla tua veglia

che hai un sonno vivo
un sonno di redenzioni e d’innocenza
dove ti tocca nascere
ma nasci appena un po’ e bambina
che avrà neanche parola neanche l’asciugarsi del pianto
né un angelo infermo che si biasima.

Maschio adulto solitario

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[Cosimo Argentina ha da poco pubblicato questo libro. Se andate sul link avrete maggiori delucidazioni. Qui di seguito uno stralcio che ci regala l’autore. G.B.]

di Cosimo Argentina

Alle otto di sera tornai a casa mia e lì trovai l’allegra brigata seduta a tavola.
«Lui è Paride Vorca, Dànilo, te lo ricordi vero? Ha un appartamento sopra di noi.»
Come no. Me lo ricordavo sì, il moscone. Come non ricordarsi di un uomo alto un metro e sessantacinque che pesava cento chili,f accia da mastino napoletano e occhi da bue muschiato: questo era, il signor Vorca. Un incrocio tra un cane e un bue muschiato con un alito da fuga nei campi e occhiali con la montatura in osso che cercava di usare il meno possibile ma che gli erano necessari, al bighino 88.
Lui mi strinse la mano e me la stritolò per farmi capire un po’ di cose. Quella stretta era: “Bello, qui le cose sono cambiate, come vedi… ormai ci sono nuovi equilibri… come vedi… qui la situazione è sotto controllo e anche quella rompicoglioni di tua sorella s’è adeguata… come potrai intuire… perciò se sei venuto a rompere questo idillio è giusto che tu sappia…” ecco cos’era quella stretta di mano.