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Nascita di una passione

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di Federico Lenzi

La cucina economica nera, piena di carbone e di legna, brilla come una zucca illuminata. Gli sbattiuova ronzano, i cucchiai girano e girano intorno alle scodelle di burro e zucchero, la vaniglia addolcisce l’aria, lo zenzero la rende piccante; odori di cottura, morbidi e stuzzicanti, saturano la cucina, si diffondono per la casa, si allargano nel mondo con gli sbuffi di fumo del camino.
Truman Capote, da Un ricordo di Natale

Quando ero piccolo la casa dei nonni è stata per me una scuola di odori. Ero alto come il tavolo della cucina di Siena o di Chiusdino, e forse proprio le dimensioni contenute mi permettevano di curiosare tra i fornelli senza essere ripreso. Mi ricordo mio nonno e mia nonna, una ditta gastronomica che si attivava dalle prime ore del mattino. Nonno Guido si era costruito la fama di esperto di cibarie, e così mi portava con lui a cercare spigole e tartufi, ma anche cose più banali, come le bombolette di seltz dal Mancini in Piazza del Campo. Quel distributore dell’acqua di seltz rosso fiammante ha allietato non poco le mie inestinguibili seti estive. Mio babbo diceva che al nonno appiccicavano il pesce vecchio, ma ai miei occhi di bambino la sua infallibilità di gastronomo incallito sembrava inevitabile, e del nonno mi fidavo come ci si fida dei grandi, quando si è piccoli.

A Gamba Tesa: se questa è una donna!

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di
Francesco Forlani

Tanto lo so che pensi, quello che non vorresti pensare e ti attanaglia la mente, ti fa mio prigioniero. Non sono quella con la maglia a righe, tarchiata, corta e male incavata, e nemmeno quell’altra che sbiascica ingiure e maledizioni come una preghiera da tre milioni – tre- di bestemmie. C’ho la maglia rosa, io, come i ciclisti, come le femmine; quella che all’inizio del reportage non parla, annuisce soltanto. E so anche che ti stai domandando come mai ti stia parlando così, nella tua lingua, quella dei pensieri nobili, la lingua dei “molti” diceva Dante, no?
“Ma che dico? Tanto lo so che quando mi hai visto per la prima volta alla televisione – come se non sapessi che quelli come te, il televisore non ce l’hanno, cioè ce l’hanno ma lo chiamano rete, come quando noi si diceva la prima rete…- hai pensato al tedesco. Lumpenproletariat. Si dice così? Sottoproletariato, “carne” eterna da macello,… plebaglia ,cani bastonati”, “feccia della società”, lazzaroni. Chiavica. Pardon. Insomma “rifiuti”, immondizia altro che fiore del proletariato. Insomma con noi non puoi farci niente, questo lo capisci? Una rivoluzione poi…
Certo che ho gridato fuori, fuori, e ci mancherebbe pure che quegli zingari se ne stessero dentro. Che poi dentro non ci stiamo nemmeno noi, convieni? E ti fa comodo pensare a noi, anzi sono proprio io colei che ti ci ha fatto pensare, come alle anime dannate dell’Inferno, insomma altro da te che invece sei nobile e hai nobili pensieri. Ma noi, io non sono nemmeno quello, e lo sai.
E allora tiri in ballo Pasolini, l’amore che lui aveva per i “popolani” come noi, solo che lui con i popolani ci divideva il piatto, la vita, non tu che, se potessi, alla zingarella che ti strattona, ci daresti un pugno in faccia.
Noi non apparteniamo neppure a quella aristocrazia, a quella preistoria, caro, e questo tu lo sai. Io sono un tumore, lo capisci, un’escrescenza della tua buona coscienza, della tua “istanza” e allora, tienimi con te, portami a spasso con i tuoi pensieri, fa’ pure finta che io non esista, in fondo cosa vuoi che sia una malattia! Tanto lo sai, che se mi estirpi, muori.

RADIOBAHIA: racconti per canzoni [002]

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di Marco Ciriello

Radio News July 1929

RADIOBAHIA: suona

“In your eyes” di Peter Gabriel

3.
Il vestito da sposa le rimase impigliato fra i piedi per tutta la vita. Lo indossò sempre, anche da nuda. Contro volontà e sentimenti.

Attraversare i confini: corpo e potere materno nella fiaba

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di Francesca Matteoni

Consigli dai morti

All’origine di una fiaba c’è sempre una paura. Un ostacolo, un confine da varcare. Questa paura è la vegetazione inarrestabile del bosco, le ombre sul fondo dell’acqua, il muro di cinta di una casa ostile, la volontà del padre, la malattia, la perdita, il mutamento inatteso del corpo. L’eroe si trova ad essere il centro propulsore della difficoltà, il catalizzatore della violenza che prende i suoi tratti identitari per essere espulsa. Dove ora si trova c’è caos e incertezza, c’è un mondo che deve essere riordinato, un linguaggio da scoprire per attraversarlo. In alcune famose fiabe popolari la prima parola che ci viene in aiuto è il nome stesso del protagonista, un segno incandescente, una chiave che apre i destini.
Una delle più note eroine della tradizione ha perduto il nome originario; le viene dato un soprannome, che indica la sua nuova natura, marginale e pericolosa assieme:

“Nella sera, quando era completamente esausta per il lavoro, non aveva un letto, ma doveva giacere vicino al focolare, tra le ceneri. Appariva sempre così impolverata e sporca che iniziarono a chiamarla Cenerentola”. (1)

Éric Suchère a Roma (un poeta)

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Roma, lunedì 26 maggio, ore 20:00

La camera verde (via G.Miani 20)

Éric Suchère legge alcuni suoi testi
editi e inediti

Traduzioni di Andrea Raos

Incontro a cura di Marco Giovenale, Andrea Raos, Michele Zaffarano

(non solo) Genova per noi

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su “La Liguria nero su bianco.” ( Il Foglio Letterario )
di
Marino Magliani

Un narratore ligure, progettando di raccontare la sua terra, e provando dunque a distinguerne i multipiani, che sono mille, da quello delle terrazze all’opaco, terrazze di gola, a quello dei costoni esposti, degli spuntoni sulle mulattiere che servivano da posatoio, dei fondovalle, dei tetti, non dovrebbe utilizzare il termine Liguria verticale.
Non esiste una Liguria verticale, nel senso che se la si guarda dal basso verso l’alto, la Liguria si vedrà obliqua, e dall’alto verso il basso é lo stesso, una Liguria obliqua. Per vederla verticalmente dall’alto si dovrebbe ripetere il gesto aereo di quel grande narratore, il quale sostiene che per ottenere un punto di vista verticale occorre aprire una botola nel ventre dell’aereo e guardare giù. Per ultimo non si guardarebbe mai la stessa cosa perché l’aereo si sposta.

CAMPING

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di Paolo Sperandio

[ con il nickname di niky lismo commenta spesso su Nazione Indiana – questo è un suo racconto – obliquo e deponente di disarmo autunnale – malinconico per accumulo di domande senza risposta – reticente sulla crudelta e su quella distrazione inspiegabile dei destini che sempre sfiora il consumarsi delle stagioni del tempo e delle vite ]

G. De Chirico L'enigma dell'oracolo, 1910

[ Giorgio De Chirico (1888 -1978), L’enigma dell’oracolo ]

“L’altra sera, mentre riponevamo la nostra roba e sistemavamo le provviste comprate a Saint-Pierre, abbiamo sentito le voci delle persone che occupano l’altra ala del bungalow”

J.Cortazar, “Storia con ragni”

Siamo venuti qui perché è squallido abbastanza per le nostre colpe. Gli alberi radi e gli arbusti coperti di polvere attestano in immagini la nostra desolazione, le poche tende sparpagliate illustrano una mappa di rimpianti che siamo chiamati a percorrere.
Siamo in due, in un bungalow che è un cumulo di assi erette ad abitazione solo dal riparo del tetto. E che è un riparo soprattutto per i vermi del legno, e per le cimici che abbiamo trovato nello zucchero. Le perdite che si avvertono in bagno, specialmente di notte, sono connesse alla nostra idea di eternità. Eterno è l’impulso al male che di volta in volta ci prende, e che rende futile il computo delle nostre vittime.

Guantanamo, ovunque

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di Marco Rovelli
Sono partito dalla stazione di Foggia, con lo stesso treno che ha preso Tareq per fuggire dal buco nero che lo ha accolto e inghiottito e rifiutato nel medesimo tempo, tutto nel medesimo gesto.

Tareq si stropiccia gli occhi, qui, in questo vagone. Li sfrega come per risvegliarli da un sonno. Sonno è stato, in questi due mesi, sonno della ragione. Tareq non ci crede, e gli occhi continuano a restare a mezzo. Fermano immagini, come impigliate nel sonno che resta.

Porta Marina

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di Massimo Gezzi, Adelelmo Ruggieri
Viaggio a due nelle Marche dei poeti
2008, peQuod

Porta marina

[ pubblicazione promossa da ITALIA NOSTRA, sezione del Fermano ]

Adelelmo Ruggieri
Il poggio
[ in Porta marina cit. ]

Monte Rosato. Verso mare, dopo la pista di motocross, inizia la selva. Non c’è anima viva. La vista sulla città è incomparabile. Ridiscendo piano. Tutto questo silenzio m’intimorisce e insieme mi porta a rallentare, quando ecco che mi taglia la strada uno scoiattolo. Di quelli grigi che si sono messi in competizione con gli scoiattoli rossi. Mi vengono in testa due versi di Zanzotto che dovrebbero fare così: «valgo l’onda minuscola / che fu tua sete scoiattolo un giorno».

Verso un ritorno della “razza”?

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(Con il quarto governo Berlusconi, mi sembra che sia ormai cambiato il contesto che ha visto su questo blog prendere corpo un dossier intitolato “Razzismi quotidiani”. Il motivo di questo cambiamento è semplice. Molti di noi hanno continuato a pensare in termini di “denuncia” del pregiudizio e della discriminazione. Si partiva dall’assunto che, nella nostra società, la maggioranza delle persone non potesse sostenere a chiare lettere un atteggiamento discriminatorio nei confronti di altri esseri umani. Uno dei nostri obiettivi era l’esigenza di “svelare” un razzismo che spesso si presentava sotto vesti più innocenti o decenti. Oggi, invece, chi palesa i suoi pregiudizi e chi invoca a chiare lettere l’esigenza di discriminare, riscuote successo. È un po’ quello che succede con il fascismo. C’è ancora chi denuncia “gesti”, “attitudini”, “discorsi” fascisti. Ma è proprio in quanto “fascisti” che quei gesti, attitudini e discorsi piacciono. Detto questo, è doveroso non tacere. E anzi, di fronte al trionfo della semplificazione del reale, è importante confrontarsi con le comunità di studio, con tutti coloro che non producono esclusivamente “sapere” televisivo e giornalistico. A. I.)

di Simone Morgagni

Il problema della legalità è all’ordine del giorno. Si tratta forse della questione sociale che gode da qualche anno a questa parte di maggiore attenzione da parte dei media e dei cittadini, da parte dei governanti e dei governati dei paesi occidentali. Nella quasi totalità dei casi la tematica della legalità e della sicurezza si incrociano con fenomeni di emarginazione, di violenza e di insicurezza che sembrano porre domande sempre più pressanti riguardo ai legami che intercorrono tra tutte queste nozioni.

D’altra parte anche una parte del pubblico non ne può più, questa è la mia sensazione, di essere trattato come un consumatore onnivoro e indifferente.

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di Biagio Cepollaro

Un ciclo di incontri presso La Camera Verde per questa edizione del Tiresia.

A Giuliano Mesa La Camera Verde dedica un ciclo di incontri.
Non si tratta di una rituale presentazione ma dell’avvio di un dialogo ‘vivo’ tra testo, autore e lettore.
Un dialogo che si approfondisce nel tempo e che chiama a reagire poeti e critici disposti a mettersi in gioco, a porre e a rischiare la propria esperienza e il proprio gusto nel campo di attrazione di una poesia tra le più significative degli ultimi decenni. Prospettive diverse da cui leggere l’opera ma anche possibilità di verificare tali prospettive grazie alla presenza di Mesa, tanto aperto ad accogliere i diversi apporti quanto rigoroso nel rigettare fraintendimenti.

dalla rete #01: VIA LE CASE-CAVERNA A UN PASSO DA SAN PIETRO.

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Decine di polacchi sgomberati nelle gallerie.
Otto arrestati per furto di energia.

[ Giovanni Battista PIRANESI (1720-1778), Carceri d’invenzione ]

[ da tash-blog ]

di Francesco Pecoraro

Non ho capito bene dov’è.
Si vede una nicchia, sotto un solaione di cemento.
Letti con coperte, sacchi a pelo, cassette della frutta de plastica a fare da mobilio, un tubo che corre in alto funge da mensola per scatole e flaconi di detersivo.
La foto sul giornale di ieri mostra un piccolo brano di poesia dell’abitare improprio, che può prodursi quando un umano si appropria di un luogo protetto e lo abita, magari prendendosene cura per quel che è possibile, utilizzando come suppellettili quello che trova, una nicchia o una rientranza che diventa una mensola, un sedile d’automobile come poltrona. Uno specchio, un bacile per lavarsi, sacchetti di plastica appesi come armadi.

Ombre grosse

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di Gianni Biondillo

Pare che la prima volta che Le Corbusier andò negli Stati Uniti, invitato da non so quale università, una delegazione di architetti e giornalisti lo accompagnò in giro per New York, tutta orgogliosa della “giungla d’asfalto” che svettava su Manhattan. Alla domanda di cosa pensasse di tale meraviglia l’architetto francoelvetico rispose, lapidario: “I grattacieli? Troppo bassi e troppo vicini.”

Privacy e asimmetrie di potere: il mito della società trasparente

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di Bruce Schneier

Quando parlo e scrivo di privacy, mi viene regolarmente presentata l’obiezione della divulgazione reciproca di informazioni. Spiegata in libri quali “The Transparent Society” [La Società Trasparente] di David Brin, tale obiezione si può riassumere così: in un mondo di sorveglianza continua e onnipresente, voi saprete tutto di me, ma allo stesso tempo io saprò tutto di voi. Il governo ci osserverà, ma al contempo noi osserveremo il governo. È una situazione diversa rispetto al passato, ma non è automaticamente peggiore. E dato che conosco i tuoi segreti, tu non puoi usare i miei come arma contro di me.

Questa potrebbe non essere l’idea di utopia che tutti abbiamo in mente (e di certo non affronta il valore intrinseco della privacy), ma tale teoria può essere molto attraente, e può venire facilmente scambiata per una soluzione al problema della continuata erosione della privacy da parte della tecnologia. Solo che non funziona, perché ignora la fondamentale diversità di potere.

Da « La definizione del prezzo » (1992)

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(Di Adriano Spatola, uno dei più audaci e irriverenti poeti italiani del secondo Novecento, esiste oggi un’edizione completa della sua opera poetica. Ma non è un’edizione italiana, bensì statunitense – con testo italiano a fronte -, pubblicata per Green Integer nel 2008 a cura di Paul Vangelisti – traduttore – e Beppe Cavatorta – postfatore. A. I.)

di Adriano Spatola

Molto poesia

per Luciano Anceschi

Straparlare è difficile ma comodo e difficile
l’arte è cubista costruttivista o dada
futurista surrealista immaginosa o folle
ci sono suprematismi e rivoluzioni datate
ma la grafica della mente non è cambiata
mutata snaturata forse numerata per ioni
è un dizionario un abbecedario un fragore
qualcosa di vecchio quanto il mondo sensato
la sua storia di linguaggi di linguaggi sensati
questi sono accomodamenti grosse semplificazioni
sono tradizioni costumi manie superstizioni
la vecchia parola della poesia cominciò domani
con sentimenti pensieri desideri inclinazioni
la stiamo scrivendo descrivendo decrittando
la scrittura ha bisogno di una mano contando
di una voce messa in mezzo all’albero delle voci
immagine di un maestro o immagine di un maestro
la sua lontananza la sua vicinanza o cordialità.

Colonna d’Haicanto

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null

di Federico Scaramuccia

 

Il solito prodotto di un’avanguardia deteriore. Non vi sento vibrare la vera poesia, quella passata al vaglio dell’esistenza. Basta con questi poetuncoli accademici, così cerebrali. Con questa scrittura priva di passione, che non comunica.

Giuseppe Luigi Fanozzi, Postrilli

Colonna

 

 

accorpa i moti
correndo insieme al cuore
il basso ipnotico

il dio dell’audio
l’alto parlante assalto
ore all’orecchio

 

Un, deux, mille plateaux – Gomorra e dintorni

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GOMORRA
REGIA: Matteo Garrone
SCENEGGIATURA: Maurizio Braucci; Ugo Chiti; Gianni Di Gregorio; Matteo Garrone; Massimo Gaudioso; Roberto Saviano
ATTORI: Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra, Salvatore Abruzzese, Marco Macor, Ciro Petrone, Carmine Paternoster
DURATA: 135 Min

Recensione di Domenico Gullia
“È ora di smetterla di fare film che parlano di politica. È ora di fare film in modo politico.” (Jean-Luc Godard)
Il cinema è il mezzo attraverso il quale si consumano le più grandi vendette. Charlot che si riprende i baffetti rubatigli da Hitler ne “il grande dittatore” o, in tempi recenti, Jesse James che si riprende la vita sottrattagli dal codardo Robert Ford. In “Gomorra” il cinema si riappropria dell’immaginario “sequestratogli” dalla malavita.

Primo passo: Hitler prende a Charlot i baffetti. Secondo round: Charlot si riprende i baffetti, ma questi baffetti non sono più soltanto dei baffetti alla Charlot, sono diventati, nel frattempo, dei baffetti alla Hitler. Riprendendoseli, Charlot conservava dunque un’ipoteca sull’esistenza stessa di Hitler. Con essi, si portava dietro quell’esistenza, disponendone a guisa.” (1)

Licenze poetiche

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www.licenzepoetiche.it

Festival Internazionale di Letteratura Aggiornata

VII Edizione

Macerata 19 – 24 Maggio 2008

Si terrà a Macerata dal 19 al 25 maggio 2008 la settima edizione di Licenze Poetiche (Festival Internazionale di Letteratura Aggiornata). Quest’anno il Comune di Macerata e l’associazione culturale Licenze Poetiche sono stati affiancati nell’organizzazione dalla Provincia di Macerata, dalla Biblioteca Statale di Macerata e dall’Arci Provinciale. Con tutte queste forze in campo i curatori dell’evento: Alessandro Seri, Cristina Babino e Renata Morresi sono  riusciti ad allestire una sei giorni di grande rilievo con invitati di primissimo piano quali:

Dark City

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di Mauro Baldrati
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Questo è il mio primo lavoro politico. Ed è, forse, il più rischioso di tutta la mia carriera. I lavori politici di solito vengono portati a termine dalle stesse organizzazioni, che utilizzano uomini loro. Raramente ricorrono a un professionista. In questo caso, però, c’era bisogno di un’alta specializzazione. Questa almeno è la motivazione ufficiale. In realtà la Resistenza ha bisogno di una figura esterna, uno straniero che, se cade in mano alle guardie nere, non possa rivelare dettagli sull’organizzazione neanche sotto tortura. Ed eccomi qua, ecco laggiù il palazzo di vetro.
E’ impressionante Roma. Ho visto filmati, ascoltato testimonianze, letto rapporti, ma passeggiare per queste strade, guardare, ascoltare, è un’altra cosa. Le guardie nere sono ovunque, a gruppi di tre, quattro, sui blindati, davanti agli alberghi, ai ristoranti, ai palazzi pubblici. Camminano sui marciapiedi coi manganelli elettrici, le pistole mitragliatrici, alcuni con mitragliatori pesanti. Fermano i passanti, chiedono i documenti. Qualcuno viene caricato sui cellulari, con urla e spintoni. E’ pericoloso il tragitto dal nascondiglio al palazzo di vetro. Devo camminare sciolto, senza guardarmi intorno, senza esitare. Senza avere paura. La paura si vede, si annusa, e le guardie nere sono dei mastini. Devo camminare come se fossi uno di loro.

Camorra: les jeux sont faits, rien ne va plus!

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Numeri estratti dal libro , Questa corte condanna, Spartacus processo al clan dei Casalesi, a cura di Marcello Anselmo e Maurizio Braucci . Le mie inserzioni in corsivo sono tratte da Il giocatore, di Fëdor Dostoevskij
(effeffe)

[…]Pagano all’udienza del 9 maggio 2001 ha riferito quanto segue:

Io Pignata lo conosco da vecchia data, lo conoscevo dal 1970-1972. Ho sempre bazzicato la piazza di San Cipriano, e lui stava su tutte le giocate, veniva da Tozziello, l’ho sempre incontrato, lo conoscevo bene come impiegato al Comune e come giocatore. Come giocatore che giocava, dottore… noi tra giocatori – che poi facevo parte pure io della categoria – ci conoscevamo; c’erano giocatori avventizi che li vedevi ogni tanto… E giocatori giocatori sono quelli che tutte le sere puntualmente perdono, vincono e raccimolano il denaro. Lui era giocatore, diciamo così, di questa categoria: giocatore di carte, chemin, baccarat, zichinetto. Ci sono giocatori giocatori e i giocatori avventizi, Pignata era giocatore giocatore. […]

Dopo le dieci, ai tavoli da giuoco rimangono solo i giocatori veri, disperati, per i quali alle terme non esiste che la roulette, che sono venuti solo per essa, che quasi non si accorgono di quello che accade intorno a loro, che di niente si interessano durante tutta la stagione, che non fanno altro che giocare dalla mattina alla sera e che sarebbero anche pronti a giocare tutta la notte fino all’alba, se fosse possibile…

RADIOBAHIA: racconti per canzoni [001]

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di Marco Ciriello

Radio News February 1929

RADIOBAHIA: suona

“Creep” dei Radiohead

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Il cielo piega sul campo, uno straccio. Il ragazzo cammina lungo la strada vuota, uno sputo. Il sole alle sue spalle, davanti: l’Alaska.