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L’importanza di essere piccoli – VII edizione

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…Con una coda ma senza la testa
solo per finta, solo per festa
solo per fiamma che brucia per fuoco
fammi giocare per gioco

B.Tognolini, Rime Raminghe, Salani

 

L’importanza di essere piccoli – VII edizione

poesia e musica nei borghi dell’Appennino

VII edizione 1-6 agosto 2017

un progetto dell’Associazione Arci SassiScritti

con il contributo di

Regione Emilia-Romagna, Arci Bologna progetto Polimero

e dei comuni di Alto Reno Terme, Castiglione dei Pepoli, Grizzana Morandi,

Pistoia, Sambuca Pistoiese

BCC Alto Reno e COOP Reno

LA POESIA COME FUOCO, LA VITA COME GIOCO

con

PAOLO BENVEGNÙ, MURUBUTU, LUCIO CORSI, IVAN TALARICO, GABRIELLA LUCIA GRASSO, SAVERIO LANZA, BRUNO TOGNOLINI, GIULIANO SCABIA, CARLO BORDINI, ALESSANDRO RICCIONI, ANDREA DE ALBERTI, FRANCESCA GENTI, MANUELA DAGO

Questo è il settimo anno in cui l’Appennino è reinventato e ricreato dall’incontro di poeti e musicisti con gli abitanti di paesi abbarbicati sui crinali tra Emilia e Toscana. Un piccolo festival con una dignità da gigante che si propaga tra bosco e radura, tra monti e borghi disabitati prendendosi tutto il tempo e il lusso dell’ascolto di un paesaggio parlante.

I versi di Bruno Tognolini e il dinosauro fuoritempo e fuoriluogo ritratto da Guido Mencari, raccontano l’anima de l’importanza di essere piccoli con una speciale dedica ai mondi intermedi e incandescenti dei bambini, così vicini e aderenti a quelli inattuali della poesia.

Un’edizione pensata per un pubblico multiforme che segue un ricordo d’infanzia, un giocattolo testimone della serietà del gioco che mette tutti al pari ed entra nel mondo con il passo leggero di chi si accinge a vivere un’avventura.

Sei giorni di festa in sei luoghi speciali, lontano dalle ragioni dei giorni feriali.

Un dinosauro giocattolo a capo di una sequela di esploratori che il primo agosto inizia la sua avventura dal versante toscano, dalla minuscola stazione di Castagno di Piteccio (PT) per ascoltare Paolo Benvegnù e il suo viaggio interstellare dentro i misteri di “H3+”, la molecola che sta alla base dell’Universo ispiratrice del suo ultimo album. Con lui Alessadro RIccioni poeta e bibliotecario dell’Appennino dei cui nativi ‘monti tondi’ la sua poesia porta traccia. La tribù del dinosauro il 2 agosto si sposta in Emilia e si addentra in un bosco di castagni monumentali nei pressi di Granaglione, qui la parola si fa epica grazie alla ‘letteraturap’ di Murubutu, in cui sonorità hip hop classiche fanno da tappeto a testi dalla forte curvatura cantautorale; insieme al “cantante filosofo” il “poeta-oste” Andrea de Alberti che con le poesie tratte dal suo Dall’interno della specie (Einaudi 2017) intraprende un viaggio antropologico-sentimentale dentro l’umanità. Cambiando versante il dinosauro il 3 agosto arriva a Rasora, nel comune di Castiglione dei Pepoli (BO) accolto dall’antica Casa del Popolo e dai testi scanzonati del cantautore Ivan Talarico, già attore e autore di libri dal sapore ironico. Uno sguardo limpido e sbarazzino è anche quello di Carlo Bordini, poeta e narratore romano che, pur non rinnegando le difficoltà dell’esistenza, non cede mai il fianco al nichilismo. Giunti a metà percorso le orme preistoriche conducono a La Scola nel comune di Grizzana Morandi in uno dei borghi più belli del versante bolognese: qui risuonano tre voci femminili, quella dal timbro purissimo della siciliana Gabriella Lucia Grasso che presenta il suo ultimo album Vussia Cuscenza, uscito per Narciso Records, etichetta indipendente fondata da Carmen Consoli. Se la Grasso porta nel fresco delle montagne un po’ della luce catanese, dal nord arrivano le sorprendenti Manuela Dago e Francesca Genti poetesse unite da un’amicizia profonda e dal progetto editoriale Sartoria Utopia, una ‘capanna editrice’ che produce libri di poesia cuciti a mano. Come un cerchio magico la chiusura del festival è in Toscana: venerdì 5 agosto a Monachino, nel comune di Sambuca Pistoiese (PT), in una graziosa valle in cui si intrecciano 4 province. Ad accogliere il dinosauro sono gli animali selvatici evocati dal giovane cantautore maremmano Lucio Corsi nel suo disco delicato e metamorfico Bestiario musicale. La poesia è invece affidata alla voce incantatrice di Bruno Tognolini, autore generalmente considerato per bambini anche se come dice lo stesso poeta, due volte Premio Andersen, quello che scrive è “per i bambini e i loro grandi”.

L’ultimo giorno di festival è a Spedaletto, paese che prende il nome dalla sua antica tradizione di ospitalità: se nel medioevo ai viandanti veniva offerto rifugio, ai seguaci dei piccoli domenca 6 agosto è donata una piazza trasformata da due artisti. A differenza degli altri giorni si inizia alle 19 con Saverio Lanza, musicista, compositore e produttore discografico che presenta il progetto originale Vocazioni, messa spontanea per coro misto con cinque solisti e il coro della Scuola di Musica Mabellini di Pistoia. Dopo la performance, che concilia il sacro al profano, gli spettatori e artisti sono invitati a fare una pausa per prepararsi all’ascolto di Giuliano Scabia, legato al festival da una tenera amicizia e da una profonda affinità elettiva. Per il festival il ‘più imprevedibile dei poeti’, così scrive Gianni D’Elia nella prefazione del libretto edito dalla casa editrice catanese “Le farfalle” che ne custodisce i versi, dà voce ai Canti brevi per il cielo della notte. Dentro un paese mutato dalla presenza di ospiti invisibili; poeti, bestie, persone e dèi sono cinguettati e vivificati da Scabia e amplificati da Saverio Lanza con i cantanti che poco prima hanno partecipato a Vocazioni.

PROGRAMMA

Tutti gli eventi sono a ingresso gratuito e si terranno anche in caso di pioggia nei luoghi indicati

Martedì 1 agosto ore 21-Castagno di Piteccio, PT

Paolo Benvegnù (live)
Alessandro Riccioni (lettura/incontro)
Mercoledì 2 agosto ore 21 -Parco didattico sperimentale del Castagno, Varano, Granaglione, Alto Reno Terme BO

Murubutu (live)
Andrea De Alberti (lettura/incontro)

 

Giovedì 3 agosto ore 21 – Rasora, Castiglione dei Pepoli, BO

Ivan Talarico (live)
Carlo Bordini (lettura/incontro)

 

Venerdì 4 agosto ore 21 – La Scola, Grizzana Morandi, BO

Gabriella Lucia Grasso (live)
Francesca Genti, Manuela Dago (lettura/incontro)

 

Sabato 5 agosto ore 21-Monachino, Sambuca Pistoiese, PT

Lucio Corsi (live)
Bruno Tognolini (lettura/incontro)

 

Domenica 6 agosto ore 19- Spedaletto, PT

VOCAZIONI, messa spontanea per coro misto di Saverio Lanza
CANTI BREVI PER IL CIELO DELLA NOTTE di Giuliano Scabia

 

ufficio stampa SassiScritti:

Daria Balducelli mob. 349 3690407; d.balducelli@gmail.com

 

Per le indicazioni stradali consultare la pagina FB SassiScritti_ L’importanza di essere piccoli

In caso di pioggia tutti gli eventi si terranno comunque in posti al chiuso nei luoghi indicati

Per tutte le info www.sassiscritti.org ; info@sassiscritti.org ; 3493690407 – 3495311807

 

L’importanza di essere piccoli c’è grazie a: Daria Balducelli, Ambrogina Bertone, Andrea Biagioli, Alessandro Borri, Azzurra D’Agostino, Sante Di Clemente, Lucia Mazzoncini, Guido Mencari, Andrea Montagnani, Lara Monterastelli, Silvia Tesone

Video Andrea Montagnani www.pupillaquara.com Fotografie Guido Mencari www.gmencari.com

Con la collaborazione di:

associazione La Sculca, Pro loco di Spedaletto, Pro loco di Castagno, Parco Didattico sperimentale del castagno, Casa del popolo circolo arci di Rasora, libreria l’Arcobaleno di Vergato, libreria Lo spazio di via dell’Ospizio di Pistoia, Hotel Helvetia Thermal Spa, Califfo ristopub di Porretta Terme, Birra del Reno di Castel di Casio, Le grandi ricette di Anna B. catering Castel di Casio, Hotel Roma di Porretta Terme, gelateria la Baracchina di Porretta Terme, Birrificio Beltaine.

(Le nostre) Nuvole di fango

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di Francesca Fiorletta

Nabokov ci aveva già avvertiti, con la sua incredibile Lolita: leggere e soprattuto descrivere l’attrazione erotica irrefrenabile nei confronti di un giovanissimo essere umano, non è certo cosa semplice.

Non è cosa semplice, a maggior ragione, se l’età dell’oggetto (soggetto) d’amore – o, diremmo, d’ossessione – diminuisce ancora, fino a sfiorare solo in maniera contingentale la pubertà.

Non è cosa semplice, ancora, fare tutto questo con un primo libro, un’iniziale prova letteraria. Forse, addirittura, con “Un esordio straordinario”, come lo definisce The Telegraph.
Inge Schilperoord, psicologa forense olandese, classe 1973, nel 2015 ha vinto il Bronze Book Owl come miglior debutto dell’anno proprio con Nuvole di fango, oggi pubblicato in Italia da Fazi Editore, con la traduzione di Stefano Musilli. 

Per Mario Lunetta

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di Francesco Muzzioli

Mario Lunetta ci ha lasciati il 6 luglio. Amico generoso, intellettuale lucido e impegnato, scrittore inventivo e prolificissimo in tutti i generi letterari, oltre che organizzatore infaticabile sul territorio romano, ora sta a noi rileggerlo e commentarlo come figura centrale nella letteratura di questi anni. Occorrerà ripartire dalle prime opere: così, per ricordarlo, ho scelto la poesia introduttiva della raccolta La presa di Palermo, uscita nel 1979; qui Mario è alla sua terza pubblicazione poetica ed è già tutto lui nel proporre in apertura una sorta di autoritratto contrassegnato da spirito polemico (e da spirito politico, senza nascondersi dietro un dito) e insieme da ironia e autoironia, non senza un avvertimento al narcisismo poetico che sta rialzando la testa («la propria biografia / vale un soldo bucato»). Si notino le inventive inversioni (la «corsa di galli» e la «zuffa di levrieri») e l’ossimoro del titolo, Ouverture chiusa: ecco come si presentata la poesia della contraddizione, per usare il titolo di una sua antologia, in quegli anni ancora a venire.

Echi ed echi ed echi . . .

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di Fabrizio Centofanti

Echi

Estrema terra appare in questa sera
il pensiero di te, la lontananza
infida, l’attimo della finitudine,
del sacro vuoto d’amore,
dell’ignoranza indomita di qualsivoglia
umore, attonita baldanza,
attratta, astrattamente indotta
dal nulla che ti affoga, ti ride
sulla faccia. Apprendimi, sollevami,
scarta la tovaglia che si arriccia,
stropiccia il cuore, con l’unica
voce che mi strappa al dolore,
all’umido biancore del ritorno.

Diabolos

Chi l’avrebbe mai detto che i sorrisi
sarebbero rimasti a mezza bocca,
che una prosa barocca
non avrebbe arginato la disfatta.
Quanto duro è il cammino
che ti sfratta il demonio dal salotto,
che smantella l’accrocco
che imbastisce di notte, sotto sotto.
Sfìlati dal tempo,
guàrdati dall’alto, come l’uomo
in coma, sul letto d’ospedale.
Appena giunge l’eco della Voce,
attàrdati un momento, non è il canto
del gallo, è la colomba
che allieta le fessure delle rocce,
la gazzella che salta, all’ombra
della croce.

Ritenta, sarai più fortunato

Mi chiedi perché questo, perché quello,
ti angosci, ti contorci, logori
il cervello per spremerne risposte
più improbabili. Tu stesso
sei convinto di perderti nell’onda
dei pensieri, nel rumore assordante
dell’assenza di luce. Non hai provato
a fermarti un istante,
a decidere di prendere e gettare
le abitudini malate,
a compiere l’atto che dà senso, a gustare
l’approdo, dopo tanto
navigare. Una sola cosa
ti manca: amare. Comincia
adesso, cambia
una volta per sempre
le note del tuo canto, attracca al porto
dove l’io riposa.

Volo velo

Di attendere, di credere, di apprendere,
tutto è precluso dal negare,
irridere ogni volta, declassare.
Tappeti volanti della gioia,
rapitela, intanto che si fonde
con l’entourage del diavolo
in cravatta, sottratta all’orbita sacrale
delle cose! Ruttate, vomitate
il vostro odio, da scaffale
ammuffito di mercato.
Alzatela più in alto, che si veda
la stolida vittoria, l’apparente
sconfitta della storia.

Fabrizio è uomo. sacerdote, laureato in lettere moderne e ha scritto su Calvino. E’ l’animatore del blog letterario La Poesia e lo Spirito. Ha pubblicato numerosi libri, alcuni più letterari, altri più vicini alla fede, tutti reperibili qui. Malgrado la mia molto scarsa propensione per la chiesa cattolica romana, personalmente lo stimo molto, come uomo, come amico e come scrittore, a.s.

da “Fermate”

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di Paolo Maccari

 

C’era una volta un ragazzo, aveva meno di vent’anni e gli sembrava di vivere da tanto perché aveva vividissimi nella memoria molti ricordi, e, in particolare, la scansione precisa degli avvenimenti e dei pensieri. Non faceva confusione. Anche i parenti, gli amici, chiunque avesse visto da sempre, sapeva collocarlo esattamente com’era al tempo dei diversi ricordi.

Il racconto dell’ancella

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di Francesca Fiorletta

Recentemente ripubblicato dall’ottima casa editrice Ponte alle Grazie, Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood è un libro straniante, enigmatico e suggestivo, che analizza la condizione della donna in ogni tempo e luogo, e sotto vari punti di vista: reale e immaginario, antico e futuribile, politicizzato e tuttavia estremamente intimista.
Il tutto, giunge al lettore attraverso la voce semplice, mai ammiccante, di una protagonista tanto soave quanto sofferente, strappata alla sua (che diremmo anche nostra, attuale) vita routinaria e “normale”, e improvvisamente costretta in un ruolo ancillare – che evidentemente non le può appartenere, come non potrebbe appartenere a nessun essere umano, mai – dal drastico mutare dei tempi; tempi che sono sì, in questo caso, frutto di un’ispirazione che potremmo anche, per brevitas, definire “orwelliana”, ma che, pericolosamente, sembrano tuttavia assomigliare sempre di più ai nostri giorni in divenire, al presente progressivo col quale sempre più spesso ci ritroviamo a fare i conti, e certamente incarnano – quantomeno – il concretizzarsi delle nostre paure più profonde.

IO SONO QUI – Evento pubblico conclusivo

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Si conclude il 22 luglio l’esperienza di “IO SONO QUI. Geo-grafie del sé e dell’ambiente intorno a sé” progetto laboratoriale diretto ai bambini di Camerino di cui si può leggere QUI la descrizione. Per chi volesse seguirci su facebook, questa è la nostra pagina, con le foto, i video e i racconti settimanali: https://www.facebook.com/iosonoqui.lab/

 

Letteratura oltre i confini. Clouds over the Equator: A Forgotten History e Wings di Shirin Ramzanali Fazel

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di Simone Brioni

Dopo 23 anni dall’uscita del suo primo romanzo, Lontano da Mogadiscio (ne parlo qui: http://www.laurana.it/pdf/postfazione%20LdM_Brioni.pdf) – una pietra miliare per quanti si sono occupati della scrittura della migrazione e dell’eredità coloniale in Italia – escono due libri di Shirin Ramzanali Fazel in lingua inglese: Clouds over the Equator, la traduzione del secondo romanzo di Shirin, Nuvole sull’equatore (2010) e Wings, una raccolta di poesie. Questa intervista vuole presentare questi due lavori al pubblico italiano e parlare della sfida che la traduzione e l’autotraduzione pongono agli scrittori transnazionali ‘italiani’.

Posti a sedere

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di Luciano Mazziotta

 

in casa invece c’è quello che occorre.

tre facce due parlano e l’altra

li osserva. poi quella che osserva

inizia a parlare e l’una che prima

parlava si ferma che adesso

li osserva oppure si alza

si lava le mani girata

che allora non guarda.

                                   come se a turno

l’una o l’altra o quell’altra

dovesse star muta in un angolo.

tre facce due parlano e l’altra

dovesse fare la spia.

Terza promessa

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di Raffaele Mozzillo

Il Rosario sarà un’arma potentissima contro l’inferno,
eliminerà i vizi, libererà dal peccato, distruggerà le eresie

La polvere pizzica gli occhi quando scendono nel fosso a farsi di Marlboro di contrabbando e gassosa, però non li ferma, sono comunque lì a riempirsi i polmoni di merda e a gonfiarsi lo stomaco. Stanno imparando a ruttare, Mariarosaria è la meglio. Glieli fa in un orecchio all’improvviso, i rutti, e le lacrime gli vengono agli occhi per l’emozione. Quelli di Lello sfiatano un poco, ma nel complesso l’esecuzione è apprezzabile, almeno a guardare Mariarosaria e a come scoppia in un applauso a ogni sua esecuzione. Hanno provato a cambiare marca, ma non c’è stato niente da fare: gassosa Arnone è un’altra cosa.

Il soffio, la vita, racconti – di Claudio Masetta Milone

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Su “Il signor F. è morto in treno e altri racconti”

(Robin, 2017).

 

Breve premessa epistolare

 

Cara M.G.,

mi diverto anche io adesso,

ho letto e frugato fra le tue pagine o meglio righe,

frasi, parole;

Signor F. – signor M. personaggi, e poi luoghi definiti con ****

sono segni di luoghi infiniti, come scrivere “Catania centro” con un simbolo – un bersaglio? – (e insistere che è scritto: “centro”),

sorrido e mi sento ironico come le scarpe del senatore,

o mi credo uno specchio buio, come quello del gentile signor M.,

uno specchio che si rifiuta di riflettere, uno specchio pensante, mah! O la mia mente crea un pensiero adatto allo specchio, a ciò che io, tu, noi vogliamo vedere nello specchio ?

Mi tocco il naso per tastare, mentre leggo, se è enorme come quello della signora P., devastante sul mento, allora mi tocco il mento; lei che va in vacanza portandosi piccole borse etichettate alla moda per esserci. Piccolo marito al seguito per sentirsi (poco) protetta, che avventura, avere la fortuna di viaggiare con un dispettoso uomo morto…

 

Ed ecco cosa ne penso:

M.G. – Maria Greco – sa suscitare, attraverso stili brillanti e colta scrittura, uno sguardo nuovo sui comportamenti umani: un’ironia così determinata che sembra spietata e che tuttavia lascia scorrere sotterranea una vena di allegria. Ho detto proprio: “allegria”, sebbene, lo so, si tratti di umorismo… ma: quando il calzolaio-lettore si interroga invano – di fronte a lui, la professoressa imperturbabile che, lo sa bene, non gli risponderà – su quel suo strano figlio che traduce senza chiedersi cosa traduca e che studia Omero senza intendere, senza neanche immaginare di poter intendere cosa sia la guerra in Omero, e ancora, in “Ritratto di un senatore ideale”: quelle scarpe dispettose che saltellano di qua e di là e il figlio scemotto che le insegue col berretto (scarpe e berretto: manca “solo” l’uomo dalla testa ai piedi) non lasciano che si insinui tra gli umori del lettore, in mezzo al sottile umorismo, un pizzico di allegria? O esiste forse l’allegria pura? Senza malinconia ? Senza… diciamo pure amarezza?

Non è solo una digressione, l’allegria. Lo sa, la nostra autrice.

Volete che lo dimostri?

“Il signor F. è morto in treno”.

Accade in quel treno che un viaggiatore morto viaggi con il biglietto scaduto.

Scena assurdumoristicallegra (e così la cito – a modo mio -, la M.G.)

Ma più stravagante è ciò che accade intorno a lui: l’ordinario.

La donna superficiale chiacchiera amabilmente e gaiamente dei tempi del liceo e il controllore svolge il suo lavoro e la gente torna a sedersi. E che dire dell’avvocato così ligio e impeccabile, così triste nella sua perfezione giornaliera: “il posto, il mio posto prenotato…” che ingiustizia, occupato da un finto dormiente morto ( ironia lievemente tetra-allegra) e soprattutto, direi, io, sì proprio io che sto qui a scrivere quest’anomala recensione, e il lettore lì (qui) a leggerla… e tutti, insomma, vorrei timidamente ricordare, abbiamo un signor F. (o vogliamo chiamarlo signora Mor…) che ci guarda e pare prendersi gioco di noi. E che facciamo noi? Con allegra e rassegnata malinconia ammazziamo il tempo…

 

Breve epilogo epistolare

Cara scrittrice, farlo morire senza che si faccia notare, che colpo di genio, la morte che prende il suo tempo e che irride, come sempre, i vivi: “beato chi muore o beato chi resta?”

Posso permettermi di dirlo: beato chi legge!

E non dirò, come riteneva Bufalino, che si scrive per non pensare alla morte (ché poi: se uno per non pensare alla morte scrive di morte, non è questa la più allegra burla della vita? )

Vagoni treni traghettatori Caronte. Rive attese, di nuovo ombre: c’è un’età della vita dove la luce dà spazio alle ombre e però le ombre diventano più leggere, infiniti giochi a nascondere: c’è del magico nella vita o forse nel sogno della vita.

C’è un ravanello in frigo, una muffa evidenziata da un bordo verdastro scintillante per dire: ci sono anche io.

Il calcinaccio che vuole la sua parte in scena – e indica il famoso strappo del teatrino delle marionette – cadendo fra un atto e l’altro… e poi sdoppiarsi davanti a un piatto a cena.

Ma ecco la mia conclusione: “le due donne (Alcesti ed Euridice), se pure in preda alla disperazione, si abbandonarono insieme ad una risata fragorosa…”.

Questo è il gioco di cui sono capaci solo le donne, donne come te, cara M. G., questo è il compito anche della scrittura, questa è un’ironica grandezza. Una domanda farei alla tua Alcesti: se avesse acquisito nel suo cuore la consapevolezza che la vita è un soffio, la vita è soffio.

L’altra Cambridge. Un Massachussets quotidiano tra confessioni e traslochi

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di Eloisa Morra

Misi piede a Cambridge la prima volta per inseguire un amore; avevo da poco compiuto vent’anni, autunno inoltrato: foglie fradice affogavano il porch della casetta di East Cambridge condivisa con il figlio d’un rifugiato iraniano (con cui, ricordo, discutemmo a lungo sull’origine della pasta Alfredo) e con Brad, un ricercatore della Divinity School che passava il giorno a pensare a Adorno e Marx. L’inclinazione del pavimento della cucina rendeva affettare un avocado per l’insalata un’impresa ardita, e qua e là le pareti del soffitto rivelavano buchi: quando chiesi di cosa si trattasse mi venne risposto che in inverno i topi si infilavano nelle condotture alla ricerca di un cantuccio caldo, e chiunque fosse sano di mente teneva a portata di mano uno spray da passare nei muri per scampare all’invasione.

 

La primavera tarda ad arrivare

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  di Gianni Biondillo

Flavio Santi, La primavera tarda ad arrivare, Mondadori, 2016, 306 pagine

Ora che anche un ottimo poeta come Flavio Santi s’è messo a scrivere gialli, le certezze granitiche di una certa critica paludata che ragiona a compartimenti stagni inizieranno a vacillare. Io, ovviamente, non ci trovo nulla di strano che un poeta scriva un romanzo, per lo più “di genere”. Se esiste una peculiarità del “giallo” italiano sta nell’attenzione allo scenario dove muovere i personaggi piuttosto che alla macchina inesorabile della trama. Un’indagine, da noi, è soprattutto una scusa per raccontare un territorio. Santi lo ha fatto con le sue poesie dialettali e, in continuità, lo fa ora con La primavera tarda ad arrivare.

Protagonista del primo capitolo di quella che si prefigura già come una serie, è Drago Furlan. Poliziotto bonario, dall’indole contadina, che passa più tempo in osteria a chiacchierare con gli amici che in commissariato; quarantenne bamboccione, eterno fidanzato che vive ancora con la madre; tifoso accanito dell’Udinese e goloso seriale di frico e polenta. Drago non è esattamente il ritratto del ruvido sbirro contemporaneo. Per lui già andare a Udine è come perdersi in una metropoli. Un ispettore (neppure commissario) che non vede un morto da almeno vent’anni, passati in gran parte a coltivare pomodori. Fino ad oggi, fino al ritrovamento fortuito del cadavere di un anziano, freddato con un colpo di pistola in mezzo alla fronte.

Santi racconta l’indagine, e di conseguenza il Friuli, con una scrittura lieve, scanzonata, a tratti pop. Eppure mai superficiale. In realtà, sotto pelle, non ostante l’apparente leggerezza, tutto il libro appare come un accorato canto d’amore e di nostalgia. Furlan magia e beve di continuo come a stimolarci gusto e olfatto, sensi primari che ricollegano al territorio, ai suoi prodotti, alla sua storia millenaria. È come se Santi volesse farci tornare ad un Friuli che forse non esiste più. E che forse per questo continua ad esistere, nelle sue parole.

(precedentemente pubblicato su Cooperazione numero 9 del 1 marzo 2016)

p.s. questa recensione è dello scorso anno, nel frattempo è uscito un secondo volume dell’Ispettore Furlan: L’estate non perdona.

Glossopetrae / Tonguestones, di Simona Menicocci

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di Gianluca Garrapa

Azioni, eventi, la pragmatica della parola: in Glossopetrae, il nuovo lavoro di Simona Menicocci, la giuntura è fra linguaggio, materia inorganica, economia e relativa condizione umana: ogni azione umana (quasi) // o ogni evento naturale (quasi). Di cosa parliamo e come?

La ricerca di sistemare il balbettio poetico non è declinante, bensì aurorale. Non è la decadenza dell’indicibile, ma del ripetibile che traversa e scuote l’abitudine. Le prime pagine già raccontano di un viaggio che avverrà straniero rispetto al quotidiano e moribondo fissarsi della parola solita e solitaria, estraneo al lirismo morboso come allo sperimentalismo finalizzato all’ego-nomia dello scrivente. Qui ci sono le mani che scrivono in digitazioni interagendo la propria pelle con la terra che cade. Parrebbe astrattismo e invece è diversione dell’uguale: microdrammaturgia dell’atto e dell’evento.

Essendo l’uomo non animale all’uomo, lupus, ma humus, homo, terra: homo homini humus o homo homini homo. E che non si tratti di pura poetica astratta epigonale fine novecentesca, ma disamina linguistico-economica del dato umano in ambiente post-digitale e post-capitalistico, lo si evince da certi sintagmi-slogan: il tempo è denaro; un’economia basata sul debito.

C’è il rapporto dell’uomo con l’uomo, dunque, e dei corpi. Un conflitto storico e sociale che viene riletto e riscritto di traverso. Tra oggetti e tempo, tra atti ed evenienze. Gli strati della pelle, le vicissitudini degli anni sulla parola particolare del parlante, il sostrato linguistico: c’è una filologia della terra che è l’altra mano del discorso astratto del morfo, che si scinde, che diventa puro morfema, pietra, non ulteriormente frazionabile, senza perdere il limite della propria sensorialità, ma comunque dicibile, riscrivibile, sebbene con un po’ di difficoltà: la divisibilità della materia / la distinzione delle cose. Vengono in mente le parole di Francis Ponge, nelle ultime pagine de “Il partito preso delle cose”: il ciottolo non è cosa facile da ben definire. D’altra parte, il ciottolo sembrerebbe essere uno stadio avanzato della pietra, anzi, è la pietra nell’epoca in cui comincia per essa l’età della parola, sempre a estrapolare da Ponge: Glossopetrae. E tutto ciò potrebbe sembrare pura metafisica, laddove, invece, in Glossopetrae, un passaggio segna la differenza pragmatica di cosa e oggetto: cosa // deriva da causa // è costituito da frammenti di pelle, unghie e fibre di vestiti, dove oggetto: lusus culturæ #10: l’oggetto basta a se stesso…

 Il gioco della cultura si integra con l’inverso del gioco naturale: lusus naturæ #3: l’uomo non basta a se stesso. E… ma cosa è questo ‘lusus’? il lemma d’azione/evento appare, come impartito in un diagramma musicale, a strati/intervalli quasi regolari, o quanto meno tali da armonizzare il canto delle pietre parlanti in una partitura linguistica e segnica: lusus culturæ #1: glossare la pietra; ‘lusus’ deriva da ludus: ha vari significati secondo il contesto, la situazione: giocare, poetare, sprecare, suonare, imitare, a seconda dell’uso: lusus naturæ #1; lusus pecuniæ #1’economia basata sul debito; lusus laboris #1: chi parla lavora gratis; lusus historiæ #1: genius loculi; lusus temporis #1: esseri stati prima; lusus mathematicorum #1: glossare il numero; e d’altra parte l’ ‘usus’ della parola del contesto poetico di Glossopetrae pare imprescindibile se si considera che di questo lavoro poetico abbiamo anche alcune versioni video-musicali, con gli interventi sonori di Luca Venitucci, sul canale di Youtube: a dire l’aspetto pragmatico di questa poesia in cui, al dato della pietra, il nuovo della lingua non è solo pendant, ma faccia altra e d’altrove. Tema e rema. Trema: la composizione è fruibile come una passeggiata sul greto di un fiume, quando la consistenza del velo liquido storce, sdoppia e amplifica il letto sottostante di ciottoli, ghiaia, sabbia, e tutti i livelli della pietra: le polveri le farine le ceneri le sabbie / i detriti i resti i segni i talchi. Poi c’è il lusus culturæ #4: esseri parlanti / parlati: molto interessante scoprire che come la pietra inorganica è levigata dal tempo, così gli esseri parlanti sono parlati da ciò che pretendono essere proprio: il linguaggio. A dirla tutta, gli esseri sono consumati dalla lingua, dall’economia, oltreché dalla natura. Siamo pietrificati dalla lingua delle televisioni, dalla violenza di un idioma che non comprendiamo più. Impietriti dallo sfacelo linguistico: nello scavo ideale si arriva alla distruzione totale; ma non è solo la narrazione di una distruzione, questo antipoema è pure il costruire / il desiderio e l’opinione / a partire da uno spazio / che non è proprio. Da uno spazio che precede la parola, nell’interstizio che fa dell’oggetto una cosa, nella microscopia del minoritario e del maggioritario che individua le cose definitivamente in pericolo; le cose in situazione critica; le cose vulnerabili; le cose notevolmente in pericolo; elenchi di parole provenienti dal globo. Glossopetrae è anche un’indagine sul futuro: noi siamo come nani sulle spalle di giganti (colluvie), e (non) / possiamo vedere più cose e più lontano, nonostante siamo sollevati / e innalzati dalla loro gigantesca grandezza, dice in nota e a tradurre la didascalia a margine di un disegno.

Ma Glossopetrae è anche antropologia della lingua: in alcune lingue aborigene dell’Australia / il nome coincide ‘semplicemente’ / con il pronome dimostrativo / «questo», lingua che resiste, e considerazione del negativo: l’erosione della terra della lingua. È il mondo che abbiamo a portata di mano: coesistenza, competizione, scomparsa /// gli esseri di tipo moderno // impronte su strati di ceneri  / per la raccolta dei materiali, una sorta di meccanico pessimismo che non travolge del tutto e che lascia ampio spazio alla ricomparsa, la rivoluzione: i pavimenti stanno per cedere, ma lo spazio reale / esiste. Una musicalità cosmica che cerchia i ritorni delle verticalità-uomo: dopo parecchi secoli viene elevato un muro / confinario di proprietà / in epoca successiva il muro viene abbattuto / in epoche recenti i muri vengono ricostruiti.

 Che punteggiatura ha il mondo / che cosa è una punteggiatura: i buchi la bocca le fosse le falde ricorda l’affascinante teoria-pratica dello psicoanalista Sergio Finzi e delle sue “giunture” del sogno con le leggi di natura, azione umana parlante e evento naturale muto e mutevole: g) azioni di accumulo: muri, civiltà, crepacci / d) evento del crollo degli accumuli elencati e relativi linguaggi / economie, sono due dei cinque punti dello schermo della formazione, primo tentativo quasi ironico di matematizzare la glossopietra che anticipa quella sorta di gioco-mathema successivo: la formula è la seguente: // N = R* x fp x ne x fl x fi x fc x L dove: / N: è il numero di civiltà con le quali si può parlare / R*: è il tasso medio annuo con cui si sformano le lingue.

 Gioco, antropologia, una sottile metafisica dell’azione parlante, una genealogia dell’inorganico che si interpola elegantemente al fenomeno filologico, economico, etnico. Glossopetrae è un mosaico matematico e desiderante, splendido e ipnotico, che oltrepassa il tempo e lo spazio e si conclude coll’hic et nunc della pagina bianca: situazione attuale: il presente questo, l’ora della lettura che si sospende senza finire: come scrive nella postfazione Marco Giovenale: “E la generazione, e la storia, presente: questa, e i suoi segni attuali, ai quali rinvia il bianco sospensivo dell’ultima pagina.”

Dunque buona lettura, e buona audiovisione!

 

Glossopetrae / Tonguestones, Simona Menicocci, ikonaliber edizioni, 2016, pag. 90, € 12

Diario parigino 7: la “terrasse” parigina e l’abnegazione al godimento

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di Andrea Inglese

 

A Parigi non è che sia facile vivere e che la gente si diverta. Vivere in una capitale, in una grande metropoli europea, persino mondiale, in un centro culturale d’eccellenza, cosmopolita, brulicante d’iniziative erotiche inconsuete, di punti di vista inauditi sull’abbigliamento, di credenze su come rendere lo scorrimento del tempo più arioso e inebriante, impone una certa responsabilità, esige in ogni caso competenze, preparazione, allenamento. Non è come chi vive in una periferia qualsiasi, in mezzo ai grigi vialoni dell’anonimato, dedito solo a centri commerciali feroci e a manovre nei parcheggi sotterranei.

Sole di mezzanotte ( bagatella dell’apericena)

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di Giorgio Mascitelli

Quando Guido della Veloira vuole fare il figo, si mette gli occhiali da sole.

In sé non c’è nulla di male, viviamo in un’epoca di ampia tolleranza ed è un saggio piacere di attardarsi a giocare proprio quando la vita mette fretta; tuttavia da un punto di vista tecnico la questione è di tutt’altro genere perché bisogna ammettere che Guido della Veloira prova questo impulso con particolare intensità nelle ore crepuscolari, all’ora dell’apericena, insomma, e vi è forse una correlazione tra la propensione al consumo di detta forma d’intrattenimento alimentare e l’utilizzo degli occhiali da sole al tramonto o subito dopo.

Ora le scelte sono scelte e non si possono sindacare, ma poi bisogna notare che tanti fanno la scelta di Guido della Veloira e in sé non c’è nulla di male, un po’ di conformismo non ha mai ucciso nessuno, anzi la vita di tutti i giorni si svolge anche perché  c’è un pizzico di conformismo nella maggior parte delle cose che facciamo. Il problema risiede piuttosto nell’implicita convinzione di Guido della Veloira di compiere una scelta esclusiva quando indossa gli occhiali da sole all’ora dell’apericena. Questo significa, dovrebbe significare, perché ormai in questi giorni di luce breve non c’è più nulla di certo ( e i miei occhi invecchiano a vista d’occhio),  che c’è un problema di percezione di sé, il che costituisce senza alcun dubbio un inconveniente.  Per tutti è difficile riconoscere la propria esperienza come un’esperienza tra le altre, ma addirittura Guido la pensa come l’inevitabile prodotto di un’accorta programmazione e di scelte felici.

Questa storia delle scelte è un po’ come quando all’apericena  ci si sofferma a considerare con ponderazione se si vuole lo spritz con l’aperol o con il campari, senza ricordare che spesso sono più importanti il vino, la quantità d’acqua e, in definitiva, lo stato d’animo con cui si beve. In pratica l’unica scelta possibile occupa tutto lo spazio mentale così che non si veda il resto del campo. Del resto anche l’apericena, la sua oggettiva importanza nella vita moderna e in particolare l’apericena con gli occhiali da sole va considerata come un parziale risarcimento ( di cosa non occorre precisarlo qui perché i tempi non sono maturi).

L’inconveniente principale di chi trascorre l’apericena indossando occhiali scuri sono due. Il primo, davanti al buffet, è di faticare a distinguere le vivande, specie i vari tipi di pasta fredda, cosicché spesso non si sa ma si presume quel che si porta al  tavolo nel piatto; il secondo è di protendere il viso verso l’interlocutore come fa quello che procede in base a quanto sente. D’altra parte viviamo in un’epoca o quanto meno in quest’epoca  frequentiamo apericene in cui nessuno porta più l’orologio ma tutti sanno esattamente che ora è, così è possibile che chi porta gli occhiali da sole veda meglio degli altri.

Non si registrano scontri nell’afflusso ai tavoli imbanditi con le pietanze per l’apericena tra i portatori di occhiali da sole che evidentemente sanno muoversi con destrezza. Si è sviluppata tutta un’abilità nel leggere nella penombra causata dall’occhiale nero le dimensioni dei volumi e degli spazi; abilità invero tanto più commendevole quanto più superflua dal momento che basterebbe togliersi gli occhiali per vedere le cose nella loro vera luce. Ma essi non vogliono levarseli, nemmeno Guido della Veloira che pure avverte un brivido di dubbio: per desiderare di vedere le cose nella loro luce bisognerebbe che questa fosse almeno presentabile, non certo questa luce livida breve che adesso va per la maggiore. Insomma essi non vogliono levarseli ed è difficile dar loro torto. Piaccia o meno,  questa è la legge dell’apericene in cui ci tocca vivere.

Arginare l’odio

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di Valeria Rosini

Dirò prima di tutto che il libro di Monica Romano “Trans, storie di ragazze XY” (Mursia, 2015, 13 €) è leggibilissimo, scritto con un linguaggio semplice ed immediato, adatto anche per gli adolescenti, per i quali sarebbe una lettura importantissima. Ma è un libro essenziale anche per adulti acculturati che vogliano calarsi nelle complicazioni e nelle particolarità dell’esperienza di vita di una persona Trans. Un libro quindi, davvero, per tutti.
È in gran parte una narrazione in prima persona della protagonista, che si chiama Ilenia, e che ci accompagna dalla sua infanzia all’età adulta.  Il personaggio – si intuisce – dev’essere la sintesi di tante storie che si somigliano, ma mi sembra che ci sia molto dell’autrice, almeno nella parte in cui racconta di riuscire a vincere le sfide più difficili, rifiutando di ritirarsi dal mondo, proseguendo la scuola nonostante tutto, fino a riuscire a laurearsi e ad affermarsi nel mondo del lavoro. E questa non è cosa da poco.  Perché se è vero che abbiamo alcuni luminosi esempi di persone che ce l’hanno fatta ad essere accettate nel mondo ‘diurno’, quello del lavoro, delle relazioni sociali, della politica, dell’intellettualità, è ancora vero che la maggioranza delle persone che vivono questa condizione, vivono da prigioniere nel ‘mondo della notte’. Infatti, un implacabile circolo vizioso le stritola ancora troppo spesso, senza che riescano a trovare scampo. La derisione e il rifiuto sociale impediscono di finire la scuola, di trovare un lavoro, di avere amici.  Oggetti di bullismo e di esclusione, vivono una solitudine assoluta. Le famiglie che le cacciano di casa per nascondere la vergogna, insieme all’impossibilità di trovare fonti di sostentamento, e l’essere viste da tutti come viziose adatte solo ad eccitare le fantasie su di una sessualità perversa (non propria, ma altrui), finiscono quasi inesorabilmente per sospingerle nel circuito della prostituzione e spesso della droga per poterlo sopportare. “Ma le cose cambiano” ci dice, a più riprese, Monica Romano. E avverte soprattutto i giovani:  per quanto  infernale sia il presente, il futuro sarà migliore. Non perdetevelo!
Le pagine introduttive mostrano l’aspetto peggiore: il modo in cui gran parte dei giornalisti dipinge al pubblico lo stereotipo delle persone transessuali. Siamo nel 2009 e la scena è quella di due amiche di fronte ai servizi dei telegiornali che inseguono Brenda, la donna transessuale del caso Marrazzo (trovata poi morta nella sua casa, soffocata dal fumo di un incendio doloso il cui colpevole non sarà mai trovato, forse mai cercato). La aspettano sotto casa, la rincorrono nei giorni dello ‘scandalo’, si permettono di darle del tu e la chiamano al maschile. La nominano “Brendona” e il suo cognome non esiste, palesando tutta la morbosità da cui loro – i giornalisti – vengono irretiti, trasmettendola al pubblico. I titoli dei giornali non sono da meno, nemmeno per quel convenzionale, e magari un po’ ipocrita, rispetto che circonda chiunque di fronte alla morte: «Il viado Brenda ucciso da esalazioni di fumo», o  «Brenda: morto carbonizzato il travestito coinvolto nel caso Marrazzo». L’angoscia delle due amiche viene alla fine stemperata da una risata con cui concordano di avere un primato imbattibile: quello di essere indiscutibilmente le prime nella classifica degli esclusi. Gli omosessuali hanno ancora molti detrattori, ma sono tutelati e protetti da molti, e oggi hanno perfino una legge che ne tutela le unioni. Gli immigrati sono oggetto di paura, di rifiuto e di infinite contestazioni, ma godono della solidarietà dei movimenti di sinistra,  dei sindacati e della Chiesa. Solo i transessuali sono ancora oggetto di un odio che sembra non trovare argine, la loro condizione percepita come oscura e del tutto incomprensibile.
Si passa quindi alla narrazione in prima persona di un ragazzino che parla di sé al femminile – Ilenia, appunto –  e che sembra proprio non riuscire nemmeno a focalizzare il problema: sembra non riuscire a capire il perché di tanta aggressività, odio, disprezzo e violenza che su di lei si abbatte quotidianamente.  Andare a scuola è un incubo! Uno sprazzo di luce le sembra di intravvedere quando un compagno immigrato e nero diviene oggetto di un atto di bullismo: la lezione infatti si ferma. Gli insegnanti avviano un’altra lezione, contro il bullismo e le discriminazioni, per la tolleranza delle diversità e per l’accoglienza. Allora la nostra protagonista scrive in un tema tutto quello che subisce ogni giorno, ma la reazione non è la stessa. L’insegnante la prende da parte e, con molto imbarazzo, le dice che se si comportasse un po’ più da maschio, tutto questo non le succederebbe. Ilenia se ne dispera, eppure ci prova.  Va dal barbiere, si fa rasare i capelli,  cerca abiti più simili a quelli dei compagni maschi, prova e riprova allo specchio posture, modi di camminare, atteggiamenti.  Eppure le cose vanno ancor peggio.  Prima di tutto perché si sente malissimo (cosa sta facendo?  Si maschera?  Si traveste? Cerca di essere quello che non è?  E cosa è?).  E poi perché le provocazioni dei compagni, invece che attenuarsi, si aggravano.
In questo racconto quello che colpisce di più è che, nonostante tutto questo, Ilenia conserva l’amore per lo studio.  E’ sempre molto brava a scuola, sempre tra le prime della classe.  Questa, che è la migliore delle reazioni possibili, non è la più frequente. Per Ilenia sarà un elemento fondamentale della sua salvezza, insieme a molte altre cose che le succederanno più avanti, come gli incontri con persone a lei simili, e alla vita associativa che via via andrà sviluppando. Ma per la maggior parte delle persone – lo sa bene chi, come me, ha lavorato come psicoterapeuta – condizioni ambientali così avverse, così mirate a distruggere la stima di sé, impediscono reazioni positive e stimolano quelle di natura depressiva: fanno ritirare in se stessi, impediscono di esprimere anche le capacità che si possiedono e ciò finisce per confermare la disistima in se stessi e nel mondo, bloccando il futuro.
Se un messaggio viene da questa parte del libro direi che è questo, rivolto soprattutto ai ragazzi e alle ragazze:  se tutto intorno a voi va male, non mollate quello che vi piace e che potete fare in proprio, come leggere e studiare, o coltivare qualsiasi vostra capacità che vi dia soddisfazione, anche se nessuno ve la riconosce.  Perché, quando vi chiedete angosciosamente chi siete, lì trovate la vostra risposta.  O, almeno, una prima possibile risposta.  La seconda è che “col tempo le cose cambiano”.  Sono già cambiate moltissimo.
La solitudine si è ridotta.  Le possibilità di incontro moltiplicate.  La rete consente scoperte, informazioni, incontri un tempo impensabili.  Le associazioni di autoaiuto e di sostegno alla socialità e alla ricerca di una dimensione esistenziale vivibile si sono incalcolabilmente moltiplicate.  L’attività politica volta all’affermazione dei diritti è oggi alla luce del sole.  Già oggi, nulla è come prima. Nel libro si trovano poi informazioni sui graduali cambiamenti legislativi per la riattribuzione di genere all’anagrafe e per il cambio del nome sui documenti, cambiamenti che ci sono già stati e quelli che ancora si attendono. Si trovano informazioni sui cambiamenti già avvenuti nelle definizioni di questa condizione da parte della psichiatria, assestata oggi sulla quasi benevola definizione “disturbo della identità di genere” o “disforia di genere“, e di quello ancora atteso della cancellazione definitiva dall’elenco delle malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (come già avvenuto per l’omosessualità, definita oggi come “normale variante della sessualità umana“). Ci sono cenni di storia dei movimenti LGBT nel mondo, e qui in Italia.
Ed infine, appena accennata, anche la questione filosoficamente più complessa e forse più interessante, su cui molto accesamente si discute, all’interno del movimento, e si discuterà ancora:  l’adeguamento del corpo con ormoni e chirurgia – percorso lungo e sofferto, e difficile da realizzare davvero – risponde ad un vero proprio bisogno o si tratta ancora di sudditanza ad una visione binaria del mondo che vuole tutto incasellato nel maschile o nel femminile, senza vie di mezzo?  O non sarebbe meglio  che l’ambiente attorno si abitui sempre più a vedere persone la cui appartenenza di genere non è definita o stabile? Questa forse è la domanda delle domande.

 

NdR: Valeria Rosini è psicanalista

Valentino Zeichen, Le poesie più belle

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di Francesca Fiorletta

Fazi Editore pubblica Le poesie più belle di Valentino Zeichen, a un anno dalla sua scomparsa.
Di seguito, alcuni estratti.

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Come dirti ancora amore mio,
mia, mio, adesso
che gli aggettivi possessivi
sono istruiti di dubbi, svogliati
e disaffezionati alla proprietà
abbandonano la guardia e disertano
lasciando sguarniti i beni privati,
concedendosi solo al plurale.

MSQ→AMS→PAR #5

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di Andrea Inglese, Barbara Philipp, Aleksei Shinkarenko

Quinto episodio, di cinque. In versione italiana, primo, secondo, terzo e quarto. In versione francese sul sito amico Remue.net, premier, deuxième, troisième e quatrième. Sulla natura del progetto, leggere in coda al pezzo.

Quello che vedo, lo vedo bene, sì, almeno, è l’impressione che mi fa, tutto quello che vedo sembra buono,

Il bacio di Puig

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di Francesca Fiorletta

Recentemente le Edizioni SUR hanno ripubblicato “Il bacio della donna ragno”, un brillante e commuovente romanzo-dialogo dello scrittore argentino Manuel Puig, già tradotto da Angelo Morino, con la prefazione di Alan Pauls, tradotta da Martina Testa.
I due protagonisti, Valentín e Molina, sono due detenuti, alle prese coi piccoli grandi demoni della loro vita.
Di seguito, un estratto.