di Isabella Mattazzi
Che cosa è una “videocrazia”? Che cosa vuol dire subire, giorno dopo giorno, le conseguenze di un “esperimento televisivo” che dura da trent’anni? L’ultimo documentario di Erik Gandini non è soltanto una ricognizione sull’Italia berlusconiana e sulla società delle veline e dei reality show. Videocracy è soprattutto un lungometraggio sull’uso politico dei mezzi di comunicazione nella cultura di massa. È un prezioso documento sul potere senza pari che le immagini stanno assumendo nella nostra contemporaneità. Sulla loro forza persuasiva. Sulla loro capacità di sovrapporsi al mondo della realtà e di reinventarne la forma, di modificarne la struttura. Abbiamo chiesto a Erik Gandini di parlarne con noi all’interno di un più ampio dibattito sulla sua esperienza di film maker indipendente.
Qualche anno fa hai definito la “Storia” come un concetto in movimento, una sorta di agglomerato caotico di avvenimenti, luoghi, figure in forma continuamente mutevole.
La cosa è nata facendo il film su Guevara nel 2001 (Sacrificio. Who betrayed Che Guevara?, uscito in Italia per Rizzoli).




di Severino Colombo




di Gianni Biondillo

Mia sorella con l’età si è completamente inacidita. Raggrinzita e inacidita. Come certi frutti si accartocciano su se stessi prima di raggiungere la dolcezza e la pienezza della maturità. Si direbbe che qualcosa nella normale evoluzione fisica e psicologica legata all’età sia andato storto. Una qualche degenerazione biochimica dovuta a un morbo ancora sconosciuto, un subdolo deterioramento del sistema nervoso che ha finito per prendere anche il cervello, ripercuotendosi sul carattere, qualcosa del genere. Ma la cosa forse che è diventata più fastidiosa è la voce: nasale, inquisitoria, implacabile. Ogni sua frase è una nuova doccia gelata.