[ traduzione di Orsola Puecher ]
[ da Zéro de conduite: Jeunes diables au collège (1933) di Jean Vigo ]
__Si chiamava Daniel, ma gli sarebbe molto piaciuto chiamarsi Sindbad, perché aveva letto le sue avventure in un grosso libro rilegato in rosso che portava sempre con se, in classe e nel dormitorio. Di fatto credo che non avesse mai letto altro che quel libro là. Non ne parlava mai, salvo qualche volta quando glielo si chiedeva. Allora i suoi occhi neri brillavano di più, e il suo viso a lama di coltello sembrava animarsi di colpo. Ma era un ragazzo che non parlava molto. Non si mescolava alle conversazioni degli altri, salvo quando era questione di mare, o di viaggi. La maggior parte degli uomini sono dei terrestri, è proprio così. Sono nati sulla terra, ed è la terra e le cose della terra che li interessano. I marinai stessi sono spesso gente di terra; amano le case e le donne, parlano di politica e di automobili. Ma lui, Daniel, era come se fosse di un’altra razza. Le cose della terra lo annoiavano, i negozi, le automobili, la musica, i film e naturalmente le lezioni del Liceo. Non diceva nulla, non sbadigliava neppure per mostrare la noia. Ma restava al suo posto, seduto su un banco, o anche sui gradini della scala, davanti al cortile, a fissare il vuoto. Era un allievo mediocre, che racimolava a malapena ogni trimestre il minimo di punti che gli servivano per sopravvivere. Quando un professore pronunciava il suo nome, si alzava e recitava la lezione, poi si risedeva ed era finita lì. Era come se dormisse con gli occhi aperti.


















