di Andrea Inglese
Frammento
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Quando mi sono reso conto con sufficiente sicurezza, in virtù di varie prove ogni giorno ripetute e di ogni genere, che io e Hélène ci amavamo, che sì davvero io amavo Hélène, ed Hélène amava me, proprio allora ho cominciato a prepararmi alla fine, alla fine dell’amore, alla totale distruzione dell’amore, al grande falò, all’abbandono, al ritrovarmi solitario cane su di una banchina desolata e battuta dal vento, senza barche in vista sul mare né persone sulla terraferma.
Tutte le prove dell’amore mio e di Hélène, amore impetuoso e ricambiato, tutte queste prove, che ogni giorno vengono offerte e raccolte, anche involontariamente, non sono discutibili, non vi è ragione che possa respingerle o confutarle, e basterebbe l’intuizione semplice, senza applicazione argomentativa e analitica, per capire quanto io ed Hèlène ci amiamo, e che proprio ora, anche se non si sa bene fino a quando, noi siamo nel pieno del nostro amore, portati sulla cresta dell’onda dell’amore, senza davvero nessuno sforzo, poiché l’amore è una spinta, un motore, qualcosa che eccede le singole motivazioni e i singoli significati, e trasporta ogni cosa, ogni gesto e ogni ora, senza chiedere e rendere conto, tutto l’amore è dentro questo movimento senza fatica, continuo, eccessivo, e mai stancante.
Io so che amo Hélène, e sono per approssimazione certo che Hélène mi ama, anzi sono almeno altrettanto certo del fatto che Hélène mi ami quanto del fatto che io la amo. E proprio in virtù di questo, per stringente conseguenza, Hèlène ama gli uomini, Hélène ama gli uomini almeno quanto io amo le donne. Hélène, pur amandomi, ama gli uomini, gli altri uomini, anche perché Hélène ama me, in quanto io sono un uomo, io sono uno degli uomini, quello degli uomini che lei ama, che ha deciso di amare in modo particolare ed esclusivo – certo, fino a prova contraria. D’altra parte, è pur vero che io amo Hélène in quanto amo le donne, che io amo Hèlène in quanto è donna, in quanto è la donna che io ho deciso, o che non ho potuto fare a meno di amare, tra tutte le altre donne, di un amore particolare – almeno fino a prova contraria, certo.
Come posso io immaginare un amore forte come quello di Hélène nei miei confronti, se Hélène non mi amasse in quanto sono uomo, in quanto gli uomini sono amabili, in quanto – nella sua vita – conta così tanto l’amore per gli uomini? Posso forse io immaginarmi di amare così tanto Hélène, se io non amassi in lei la donna, quella donna che – tra le donne che amo – ho deciso di amare in modo privilegiato, esasperato, raccogliendo tutte le mie forze amorose, per efficacemente amare almeno lei sola tra tutte le altre?
Ora, è anche vero che Hélène, pur amando me tra tutti gli uomini, e amandomi in quanto sono uomo, non ha cessato per questo di avere fantasie sugli uomini, ossia lei fantastica quando incontra degli uomini, poiché lei mi ama, poiché l’amore è per lei così importante, poiché il nostro amore la riempie così tanto, per questo motivo lei non cessa di fantasticare amori, e incontrando uomini s’immagina grandi amori, grandi almeno quanto il nostro. Poiché Hélène sente così intenso, raro e speciale il nostro amore, ciò fornisce a lei un modello narrativo particolarmente efficacie di amore riuscito, di amore d’eccezione, e per ciò stesso lei può fantasticare, ora, a maggior veduta, sugli uomini che incontra. A tal punto lei è innamorata, coinvolta senza riserve nel nostro amore, pervasa d’entusiasmo e di allegria, così a me dedita e fedele, che il nostro amore è l’archetipo principale su cui si modellano le sue fantasie d’amore, archetipo e motore, da cui le sue fantasie traggono sempre nuova energia, a ogni nuovo incontro di uomini.
Non c’è uomo davvero interessante e bello che Hélène incontri, rispetto al quale non agisca, con tempestività, la carica energetica dell’amore che lei prova per me, catturando il nuovo venuto dentro lo scenario solidissimo del nostro amore, utilizzandolo come marionetta, cascatore, comparsa, per variazioni ulteriori, mascherate, carnevali dell’esperienza amorosa che così potentemente ci trasporta, e invade. Tale è l’amore di Hélène per me, che il suo amore per gli uomini ne risulta moltiplicato, e crescendo esso d’intensità crescono anche le fantasie d’amore che ogni altro uomo può suscitare, ricordando ad Hélène quanto l’amore che lei sperimenta sia forte, quanto possa essere forte l’amore, e quindi primeggiare sempre, e manifestarsi nel mondo, prendendo spazio all’improvviso tra due persone.
L’amore di Hélène per me, così certo, indiscutibile, evidente, minaccia costantemente di distruggermi, di portarmi al punto dell’inevitabile rottura, dell’abbandono che nessuna supplica potrà più differire. Quale garanzia ho che la carica energetica, che costantemente trascina nello scenario del nostro rapporto amoroso ogni uomo nuovo e attraente incontrato da Hélène, spogliandolo della sua particolarità ai fini di un’azione dimostrativa di marionetta, permanga superiore a quella che quell’altro uomo potrebbe scatenare? Chi mi dice che, una volta inserito nel nostro scenario al fine di confermarlo una volta di più, con qualche accento inedito, con una sfumatura fisica o morale differente, egli non rimbalzi come proiettile contro l’archetipo, bruciando la sua struttura, consumando i dettagli splendidi che lo rendevano ipnotico e vincente, devastando per sempre l’equilibrio fortuito e misterioso dell’amore reciproco? Chi mi dice che Hélène non si comporti, nelle sue fantasie amorose rivolte agli altri uomini, come un apprendista stregone, secondo una nota e triste parabola, finendo col divenire succube dei fantasmi che lei stessa ha evocato per rafforzare ancora una volta di più il suo amore per me? E chi mi dice che quel figlio di puttana, selezionato per l’audizione a causa di un portamento fisico particolarmente efficace o per la guida sbrigliata di un’automobile potente, non si riveli un usurpatore di copioni, capace di manipolare a proprio favore le battute, stravolgendo interamente l’intreccio e gettando una luce impietosa sulla mia persona, fondamento dell’intero edificio narrativo?
Pur essendo certo dell’amore di Hélène nei miei confronti, come lo sono del mio nei suoi, io non vivo più tranquillo, e fisso negli occhi la catastrofe con una stoica fissità. Da quando il nostro amore funziona oltre ogni ragionevole dubbio, ed è entrato in una fase di entusiasmo senza precedenti, io mi preparo giornalmente alla sua fine, ne studio con anticipo le circostanze e i tratti più fatali, spietati, ineludibili. Da quando io ed Hélène ci amiamo di questa così grande passione, e con questa così inattaccabile fiducia, io scorgo con nitidezza nella vita di Hélène la vastità degli incontri a cui è destinata, innumerevoli per tipologia e riuscita, costantemente imprevedibili, paurosamente decisivi. Sono incontri con uomini, ma senza che ciò escluda incontri con donne. Sono incontri con uomini capaci di suscitare in lei l’amore, ma non si escludono donne in grado di farlo. Sono incontri con uomini che, per uno slancio autentico o per un calcolo cinico, vogliono suscitare in lei l’amore, e vogliono dunque distruggere l’amore già presente, o meglio sfigurarlo, o piuttosto smascherarlo per quello che è: uno solo tra i possibili, uno solo costruito su un fondamento incerto di circostanze fortuite, uno solo e quindi inevitabilmente parziale, incompleto, fallace. Mentre amo Hélène, mentre Hélène mi ama, un mare sterminato di incontri con altri uomini le si avvicina, ogni incontro essendo occasionale supporto di fantasia amorosa, e quindi azione ostile più o meno efficace nei confronti del nostro amore.
Nello stesso modo in cui Hélène ama gli uomini e realizza, incontrandoli, delle fantasie amorose, nutrite dalla forza del nostro amore, io che amo le donne, tendo a mettere in atto un comportamento analogo: sulle donne che vedo, sulle donne che incontro, lascio divagare una fantasia amorosa. Ma ora non lo posso più fare innocentemente. Ora sono preso in una complessa dinamica, di cui è probabilmente impossibile venire a capo, e che non avevo previsto in alcun modo. È opportuno illustrare questa dinamica, questo movimento mentale confuso ed intricato, affinché il progresso della psicologia possa un giorno portare lenimento ai tanti inutili dolori che sono disseminati nell’animo umano, e in quello di colui che ama in particolare.
Quando io vedo una donna, oggi, che non sia Hélène, e la vedo venirmi incontro in modo fortuito, quando sale su di un mezzo pubblico e si siede di fronte a me, o quando occupa un posto dietro lo sportello al quale approdo, o quando mi rivolge la parola per strada alla ricerca di una via o di un panettiere aperto, o quando ancora la osservo soltanto camminare, in mezzo a un carosello disordinato di passanti, ebbene io non fantastico innocentemente su quella donna, che ha suscitato il mio interesse senza dubbio per qualche ragione precisa. Io non posso abbandonarmi alla mia fantasia amorosa o erotica, conducendola qua e là sovrappensiero. Io devo lasciare che si dispieghi spontaneamente, per poi sorvegliarla con severità ad ogni passaggio, variazione di figura, modulazione emotiva. Io devo, infatti, capire cosa mi accade quando fantastico su di una donna incontrata, su di un’altra donna, così come Hélène fantastica sugli uomini che incontra, sugli altri uomini. Avendo detto questo, è già possibile comprendere a qual punto sia faticosa e complessa la dinamica: a) io devo spontaneamente fantasticare, b) devo sorvegliare severamente questa fantasia, c) devo trasporla in un gioco delle parti rovesciato, dove non sono io uomo a fantasticare su una donna, ma è Hélène donna a fantasticare su di un uomo (per non introdurre, almeno in questa prima fase, la variabile omosessuale).
Perché io inauguro con tale convinzione una stagione di così tormentati esperimenti? Perché mi presto a questo complesso andirivieni del pensiero in mezzo a un fluido succedersi di emozioni? Perché mi procuro problemi ed enigmi del tutto nuovi, che dovrò mantenere in luce costantemente con sforzo e tormento, fino al momento in cui, per lo meno, non li avrò risolti – seppure con dolore e dispetto? La risposta è semplice e disarmante: io devo avere scienza della fine del mio amore. Ora che io finalmente amo, ora che ho la straordinaria fortuna di essere riamato almeno con la stessa intensità da Hélène, ho bisogno di avere in mente ogni momento la legge, la ragione, la sequenza completa di ciò che distruggerà questo amore, spogliandomi di esso, e di tutta la forza che sprigionava. Non si tratta solo di anticipare, per completa e definitiva idiozia, una fine, laddove si vive tutta la magica esuberanza dell’inizio; si tratta piuttosto di esercitarsi quotidianamente, come un atleta in vista di una gara olimpionica, che non tralascia un attimo della sua giornata di sollecitare un muscolo, ripetere un gesto, provare l’elasticità di un’articolazione. Conoscendo la fine, mi preparo ad essa, mi alleno per la sfida che essa mi imporrà, investendo l’intera mia configurazione psico-fisica come un avversario ostile in una gara di pugilato. Mi alleno alla distruzione del nostro amore, e lo faccio proprio ora, che ho piena coscienza di quanto esso sia forte e radicato, resistente e massiccio, in modo tale da prefigurarmi la forza mostruosa dell’avversario, di colui che con colpi sicuri e continui libererà Hélène dal suo amore per me, tirandola via, altrove, presso di lui, in un amore divergente, diretto altrove, che io osserverò da un luogo remoto, sconcertato e impotente.
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(proseguono le letture estive. Altri quattro romanzi sotto l’ombrellone. G.B.)
Brian Van Reet, A ferro e fuoco, Guanda editore, 294 pagine,
Sandrone Dazieri, Il Re di denari, 2018, Mondadori, 500 pagine
Tarkis Würger, Stella, Feltrinelli, 2019, 182 pagine






KEN RUSSELL nasce in Gran Bretagna il 3 luglio 1927 nella città marittima di Southampton, dal cui porto il 10 aprile 1912 era salpato il Titanic per il suo primo e ultimo viaggio. Il padre, un uomo severo e distante, ha un negozio di scarpe. Fin da piccolo Ken mostra il suo talento artistico, inizialmente molto incoraggiato in famiglia, soprattutto dalla madre, sensibile e afflitta da disturbi mentali. A soli quattro anni ottiene di accompagnarla ai té danzanti e al cinema. La sua passione per la musica e per le immagini in movimento è già evidente. All’età di 10 anni gli viene regalato un proiettore giocattolo, con cui organizza spettacolini cinematografici in garage con i film di Charlie Chaplin. I genitori vi assistono al caldo, chiusi nell’auto di famiglia. Non è molto bravo a scuola e scappa spesso di casa per rifugiarsi nei cinema della cittadina, dove, fra gli altri, vede due film che saranno ispirazione cruciale della sua futura carriera di regista e del suo stile visionario, la serie Die Nibelungen [1924] di Fritz Lang.
“Scaloni monumentali, cattedrali in cemento, prati brumosi disseminati di margheritine artificiali, foreste dagli enormi tronchi di cartapesta, castelli e fortezze in miniatura, grotte anch’esse di cartapesta, draghi meccanici, tutte quelle enormi costruzioni per metà merovingie e per metà cubiste, presero vita grazie a Otto Hunte, Eric Kettelhut, Carl Vollbrecht, scenografi abituali di Lang.”![Ken Russell "Teddy Girls" [1955]](https://www.nazioneindiana.com/wp-content/2015/04/Ken-Russell-Teddy-Girls-1955.jpg)
Il taglio inconsueto delle inquadrature, il loro contrapporsi rapido, crea un movimento continuo, non lineare e fantastico. Russell in un piccolo cameo si raffigura come un passante con le mani in tasca, che urtandola interrompe solo per un istante la corsa vorticosa di Amelia. Le riprese di una città altra e minimalista, ancora con le rovine della guerra, abitata da strani personaggi dropout, come la buffa venditrice di abiti usati e l’artista di strada con il cagnolino e la scala nella stazione in disarmo, ricordano le atmosfere di Mary Poppins [1934], il romanzo, di Pamela Lyndon Travers dove dietro una porta c’è sempre un’altra porta e dietro le cose consuete ci sono sempre nascoste e mimetizzate quelle inconsute. La coreografia ingenua del balletto iniziale degli angeli, ![Ken Russell "Man on bike playing guitar" [1956]](https://www.nazioneindiana.com/wp-content/2015/04/Ken-Russell-Man-on-bike-play-guitar-1956.jpg)











di
L’urlo

Innanzitutto: Raul Montanari è un grande titolista. Non c’è suo romanzo che non abbia un titolo evocativo, musicale, affascinante. La vita finora racconta la storia di Marco, un insegnante precario che trova un incarico in una scuola media privata in un paese dimenticato da Dio, imbucato in una valle lombarda. Posto dove si conoscono tutti e dove tutti sopportano il peso di una vita quotidiana segnata dal sopruso, dall’ignavia, dalla codardia. Dove si tramanda di generazione in generazione la prevaricazione e la sudditanza piuttosto che la solidarietà.
Quella raccontata da Luis Landero ne La vita negoziabile è una lunga confessione in prima persona di Hugo Bayo e della sua vita meschina. Hugo, Hughito per chi gli ha voluto persino bene, è un protagonisa ingombrante, onnipresente, autoreferenziale. Il mondo sembra si sia messo contro le sue aspirazioni, i suoi talenti, le sue passioni. Hugo è, a suo dire, una persona generosa, sensibile, intelligente. È la vita che si è accanita contro di lui, fin dall’infanzia quando la scoperta di una madre, fino a quel momento idealizzata, capace di tradire il marito per un falso medico lo catapulta nel mondo crudele degli adulti. E che dire del padre, quel bigotto sempre con la bibbia in mano ma da buon amministratore di condimini lesto con i suoi servigi a lucrarci sopra?
Louise è cresciuta nelle Alpi francesi in un ambiente tradizionale e soffocante. Conoscerà la città e la modernità quando decide di studiare all’università di Lione. Quella è l’età degli incontri imprescindibili di ogni persona. Amici, sodali, confessori, fidanzati. Fra questi Henri, un pianista inquieto, tormentato dalla perdita dei genitori durante l’occupazione nazista, e Johann, un tedesco amante della cultura francese. Alla fine è con Johann che Louise sceglie di vivere. Ciò significa lasciare la Francia, conoscere una terra e una lingua nuova, nuove abitudini, nuovi paesaggi. Louise, per amore lo fa. Al punto che conquista la nuova lingua fino a farla diventare sua, fino a scrivere direttamente in tedesco.
Sempre più romanzi, negli ultimi dieci anni, stanno raccontando storie ambientate in un futuro per nulla distopico, dove le conseguenze del nostro scriteriato modo di gestire l’ambiente avrà conseguenze terrificanti. Gli scrittori, si sa, sono sismografi che percepiscono le vibrazioni telluriche delle paure collettive. Quelle profonde, reali, a differenza della demagogia imperante occupata a mettere in scena solo le paure superficiali, contemporanee.





